Monica Rossetti, l’italiana che ha vinto i mondiali del vino in Brasile

di Elena Di Luigi

Grazie ai vini Faces dell’enologa Monica Rossetti, un pezzetto di Italia è rimasta nella World Cup 2014 fino alla fine. Monica, brasiliana di origine vicentina, ha ideato i blend scelti dalla FIFA per riassumere e rappresentare la complessità sociale del Brasile.

Come e quando è nata la tua passione per il vino?
Il mio è stato un felice incontro con il vino. Mi sono ispirata a mio nonno che faceva il vino a casa, ma poi la vocazione l’ho scoperta a 15 anni quando ho iniziato gli studi di enologia. Durante i primi anni del corso tecnico ho capito che quello del vino sarebbe diventato il mio mondo. Dopo ho sempre cercato di approfondire le mie conoscenze ed esperienze per sviluppare con competenza il mio lavoro e così la passione è cresciuta. Il vino è un grande seduttore!

Cosa ami di più del tuo lavoro?
Il contatto con la natura e la scoperta di particolarità legate a un territorio o a un vitigno. Ogni posto, ogni annata, ogni azienda è un’esperienza irripetibile. Questa consapevolezza mi fa capire che sono fortunata perchè attraverso il vino posso conoscere molte realtà e venire a contatto con persone e culture diverse. È un constante scoprire e imparare perché il vino vero rappresenta storia, lavoro, sentimento e vita imbottigliati.

Come è nata l’idea di creare i vini per i mondiali di calcio 2014 e come hai scelto gli 11 uvaggi per il rosso?
Nel 2011 c’è stata una selezione della FIFA per scegliere un produttore di vino brasiliano. L’azienda vincitrice è stata la Lidio Carraro dove sono enologa e così sono diventata responsabile della produzione del vino ufficiale dei mondiali di calcio 2014. Il criterio di selezione è stata la qualità dei vini già prodotti. C’è stato uno studio di fattibilità e lo sviluppo di un progetto specifico per cogliere l’occasione dei mondiali e promuovere non soltanto il vino aziendale ma anche l’immagine del vino brasiliano. Ho cercato di valorizzare gli aspetti della cultura del paese e creare una tematica per ogni vino della collezione World Cup.

Il vino rosso è stato un omaggio al calcio, una passione nazionale e poi anche la ragione dell’evento. L’idea di unire 11 uve diverse come una squadra è stata casuale, mi è venuta guardando una partita di calcio con mio padre. Un suo commento mi ha ispirato e ho voluto creare un vino che rappresentasse un vero ‘team’, con diritto a schema tattico calcistico (4-4-2) e l’analisi tecnica di ogni vitigno per la performance nel bicchiere! Ho fatto diverse prove di assemblaggio per circa due mesi fino a trovare le 11 uve giuste, nelle percentuali corrette per rispettare lo stile che volevo. A una degustazione attenta si poteva sentire la squadra: gli attaccanti – Merlot e Cabernet Sauvignon, cioè l’aroma principale; il mezzo campo – Tempranillo, Teroldego, Touriga Nacional e Pinot Noir, la complessità aromatica e il volume di bocca; difesa – Tannat, Nebbiolo, Alicante Bouschet e Ancellotta, il corpo e la struttura; infine il portiere – Malbec, il retrogusto.

Perché ‘Faces’?
Per comunicare un elemento fondamentale della cultura brasiliana: la diversità etnica. Il Brasile è un paese continente e il suo popolo è un vero ‘assemblage’ di persone di diverse origini. Volevo trovare un modo per valorizzare il vino brasiliano, per farlo conoscere e creare così un’identità che avesse in sè quelle caratteristiche che vengono in mente quando si pensa al Brasile: gioia, giovinezza, vibrazione, sole, positività. Questo aspetto è importante perché il Brasile non ha vitigni autoctoni e per il momento neanche un vino che lo rappresenti, allora ho cercato elementi di connessione tra il vino e il suo territorio.

Hai seguito i mondiali? Quali varietà e quali giocatori accoppieresti?
Certo! Ho anche imparato molto di calcio, prima per lo sviluppo del vino e dopo seguendo le partite nello stadio e nei fanfest della FIFA. I vini Faces sono stati serviti nelle sale VIP degli stadi e così ho potuto vivere i mondiali da vicino. Per la nazionale brasiliana vedevo Neymar–Merlot e Thiago Silva-Tannat.

È la stessa cosa fare la winemaker in Brasile, dove lavori, e in Italia dove invece ti sei formata?
Sono due esperienze molto diverse. L’Italia è simbolo della tradizione del vino e il Brasile è simbolo del nuovo del vino. Ogni anno faccio l’enologo sia in Brasile che in Italia (a proposito sto per iniziare la mia 27° vendemmia!) e il contesto di lavoro e di vita sono differenti anche se alla fine, almeno per me, le logiche sono sempre quelle del vino. Cerco di interpretare ogni posto e di unire il saper fare italiano allo spirito creativo brasiliano.

Quale parte del tuo lavoro ti affascina di più e perché?
Sicuramente l’arte degli assemblaggi. Non è sempre e solo necessario pensare a vini creati così, però è davvero affascinante verificare le trasformazioni e i nuovi equilibri che si ottengono nell’unire anche piccole percentuali di vini diversi. Si tratta di un’alchimia dove la natura offre il suo meglio e la persona interpreta in base al suo gusto. Ci sono alcuni casi in cui l’espressione massima si ottiene da un mono vitigno coltivato in un luogo particolare, e bisogna saper valorizzare queste perle. In ogni modo scoprire le sinergie di differenti parcelle dello stesso vitigno o di differenti vitigni è sempre qualcosa di magico che mi piace molto.

Quali consigli daresti a una giovane che vuole iniziare a produrre vino.
Passione, professionalità e persistenza. Bisogna innanzitutto capire se è una scelta che si fa per se stessi, perché produrre vino (buono) è uno stile di vita e quindi avere la passione è importante. Poi lavorare con competenza e serietà per conquistare il rispetto e lo spazio che uno si merita; infine essere persistenti per superare gli ostacoli inerenti a ogni percorso.

Quale varietà d’uva secondo te è immeritatamente ignorata?
Ci sono molte varietà poco conosciute e di grande potenzialità, in genere offuscate dal successo commerciale di altri vitigni considerati internazionali. Penso che nei prossimi anni la voglia di vini più originali già manifestata da alcuni consumatori possa incentivare la loro coltivazione. Tra i vitigni più noti però considero ancora poco esplorato il cabernet franc. Secondo me questa uva ha una grande espressione enologica e riflette il gusto di molti consumatori quindi meriterebbe più attenzione.

Nel 2015 ci sarà il mondiale di calcio femminile, che vini faresti per lanciare l’evento?
Farei due vini: un vino spumante rosé, sensuale e di grande carattere come vino ufficiale dell’evento; e una piccola edizione speciale di icewine canadese, per rendere omaggio alla nazione ospitante del mondiale femminile.

Sulla base del merito e non del cuore chi avrebbe dovuto vincere questi mondiali?
Penso che la Germania abbia meritato il titolo. Io tifavo per una finale Brasile vs Italia, però non è andata così. Ad ogni modo, i mondiali sono stati una vera festa dove molte persone di tutto il mondo si sono ritrovate non solo per il calcio, ma anche per vivere una esperienza fatta di luoghi, gente e cultura. Devo dire che io in particolare sento di aver alzato la coppa, almeno quella del vino.

3 Commenti

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Montosoli

circa 10 anni fa - Link

Brava ! Finalmente una persona di buon umore e con gambe per terra...Auguri !

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motown

circa 10 anni fa - Link

beh, degli amici enofili che hanno provato il faces affermano essere imbevibile...! Non posso confermare nè smentire

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Gianluca Zucco

circa 10 anni fa - Link

Assaggiati i due Faces, bianco e rosso (non ho avuto il coraggio per il rosato) e, con mia somma sorpresa, il rosso si è dimostrato meno peggio di quello che mi aspettavo. Per un vino-gadget ed oltretutto brasiliano, ci si può stare.

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