L’abilità di un degustatore? Sta scritta nei geni di mamma e papà

di Pietro Stara

In un test estroverso, propinato dal Dipartimento di Matematica dell’Università di Genova a gruppi di studenti delle scuole genovesi in merito alla trasmissione dei caratteri ereditari, gli scolari hanno risposto con quattro tipologie di sintesi che spiegherebbero il trasloco dei geni dominanti e recessivi dai genitori ai figli:

A: Teoria della “maggioranza”.
Secondo me i caratteri passano attraverso gli spermatozoi e l’ovulo che unendosi formano un nuovo bambino. Unendosi si forma nel bambino qualcosa che assomiglia al padre e qualcosa che assomiglia alla madre: se io assomiglio di più a mio padre vuol dire che sono passati prevalentemente i caratteri di mio padre, è una questione di quantità, se i geni del padre sono di più il nuovo bambino assomiglierà al padre.

B: Teoria del “sopravvento” o del “ragù”.
Quando i semi si uniscono le informazioni si mischiano: è come quando fai il ragù e ci metti due spezie di quantità uguale, quando si sono ben mischiate prende il sopravvento la più salata o la più saporita. Quando si incontrano i caratteri, tra due caratteristiche della stessa cosa prende il sopravvento la cosa più forte.

C: Teoria della “metà” o del “mosaico”.
Lo spermatozoo (padre) ha metà caratteristiche e l’uovo (madre) l’altra metà; quando si uniscono viene un bambino che è un mosaico che somiglia per metà alla madre e per metà al padre.

D: Teoria del “miscuglio”
Noi siamo un miscuglio se i miei genitori fossero due colori (rosso e blu) mescolati darebbero un altro colore (viola) cioè me. Infatti in me c’è un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Ad esempio se il padre ha i capelli neri e la madre li ha biondi il figlio dovrebbe averli castani, cioè una mezza via.”

I matematici genovesi, furbetti come Bip Bip in Willy il Coyote, più che alle teorie genetiche sono interessati a quelle delle probabilità attraverso lo studio delle combinazioni dei fattori mendeliani.

Ma ai degustatori incorreggibili, ai bevitori seriali, ai critici di parte, ai sommelier ovunque e comunque organizzati, tutto questo perché dovrebbe interessare?

Perché qualcuno (Jane Wardle del Cancer Research), da qualche parte (Gran Bretagna), ha iniziato a dire che pure i gusti, nonché le propensioni individuali, sarebbero interessati ai e dai caratteri ereditari: insomma, quando un genitore imbufalito intima al proprio figlioletto di finire il meraviglioso piatto di finocchi cotti, generosamente pensato per apportare sostanze nutrienti e benefiche alla crescita del corpicino, i geni ereditari del pupo, memori dei lasciti paterni e materni ( e di tutto il parentado prossimo sino ai cugini di quindicesimo grado), rifiutano (o accolgono) il desinare caldamente suggerito.

Quindi un primo consiglio: non arrabbiatevi con i giovincelli e piuttosto cercate in voi stessi, nei geni di famiglia o nelle propensioni attuali della sorella di vostra moglie. Provate anche ad attenuare la mimica facciale in caso di spudorata finzione.

Che siamo figli a miscuglio, a sopravvento, a maggioranza o a metà, dobbiamo fare i conti con gli orientamenti del DNA di chi ci ha preceduto. Pure sul bere. Se vostro bis-nonno era un barberista convinto, secondo le preziose testimonianze rilasciate dagli archivi di polizia del paese natale, e così pure il nonno e non da meno vostro padre, difficilmente diventerete dei dolcettisti senza macchia. Poi, se vostro bisnonno si portava appresso l’impronunciabile hTAS2R16, una forma allelica di un gene che codifica un recettore coinvolto nella percezione del gusto, che lo portava a bere come una spugna, difficilmente, a meno che non abbiate preso da una santa prozia nonagenaria, la vostra propensione all’alcol sarà molto bassa. Potrete sempre giustificarvi incolpando l’avo di turno che vi fa più comodo.

Non bastasse tutto questo c’è pure capitata addosso l’epigenetica: essa venne definita da Conrad Waddington, nel 1942, come “la branca della biologia che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto e pone in essere il fenotipo”. Per capirci meglio, se il DNA è lo spartito musicale, le cellule l’orchestra, l’epigenetica sarebbe formata dagli strumenti musicali: le modificazioni epigenetiche regolano quindi l’interpretazione dell’informazione genetica. Il nostro Dna se ne sta lì bello tranquillo, la sua sequenza assolutamente invariata, ma ecco che i marcatori epigenetici ce lo impacchettano a loro piacimento. Sono le cosiddette variabili ambientali, le memorie viventi del corpo, che si passano ereditariamente di generazione in generazione. Così pare: già abbiamo a che fare con tutte le imperfezioni del parentado che dobbiamo portarci appresso anche il loro viaggio di nozze!

Ma non buttiamoci giù! In realtà possiamo guadagnarci e anche parecchio: «È con piena ragione (dice Sancho allo scudiero dal grande naso) che io pretendo di intendermene di vino; è una qualità ereditaria nella mia famiglia. Due miei parenti furono, una volta, chiamati a dire la loro opinione su una botte che si supponeva eccellente, perché era vecchia e di ottima uva. Uno di loro la assaggia, ci pensa sopra; e, dopo matura riflessione, decide che il vino sarebbe stato buono, se non fosse per quel leggero sapore di cuoio che egli vi sentiva. L’altro, dopo aver usato le stesse cautele, emette anche lui il suo verdetto in favore del vino, ma con riserva, per un certo sapore di ferro, che riusciva a distinguere nettamente. Non potete immaginarvi quanto essi fossero presi in giro per il loro giudizio. Ma chi rise per ultimo? Vuotando la botte, sul fondo si trovò una vecchia chiave cui era attaccata una striscia di cuoio.» Cervantes, Don Chisciotte, II, cap. 13 (citato in Hume, La regola del gusto, 1758).

avatar

Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

2 Commenti

avatar

graziano

circa 9 anni fa - Link

un esempio potrebbe essere la teoria del tutto partendo dal BIG BANG in astrofisica e cosmologia, lo sviluppo dei genomi per la scienza fisica, oppure fra Hardware software, e ora i cookies nell'informatica, perché come i geni tutto nasce si sviluppa-evolve nel tempo, anche da qualche generazione prima dei nostri genitori, e generazioni dopo di noi e il tutto condito dal tempo "in quanto periodo" che vivi, perché i sensi base ce li abbiamo intrinsechi per natura, partendo da buono e cattivo , il resto viene con l'allenamento.

Rispondi
avatar

Pietro Stara

circa 9 anni fa - Link

Concordo nell'allenamento, ma ancor di più nell'insondabilità. Sulla Teoria del Tutto, affascinante come ogni sistema dottrinale che tenti di essere, in sé e per sé, esaustivo, anche se poco probabile, ci giocai qualche tempo fa: https://vinoestoria.wordpress.com//?s=teoria+del+tutto&search=Vai

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.