La serata conclusiva del Master sul Nebbiolo di Armando Castagno è stata memorabile

di Alice in Wonderland

In una sera in cui il numero otto verrà ricordato dalle cronache calcistiche, le sensazioni lasciate dagli otto vini protagonisti della serata conclusiva del Master sul Nebbiolo di Armando Castagno, (svoltosi a Roma alla sede di Coquis), vivranno senza dubbio a lungo nei cuori e nella testa di chi vi ha partecipato e senza bisogno di assistenza. Cercare di trasporle sulla carta è, in un certo senso, aggiudicarsi una rassicurazione in più, sviluppare un rullino di fotografie e riporle in un personale album dei ricordi, scongiurando il pericolo che possano sbiadire.

FARA VECCHIE VIGNE 2004 – DESSILANI
Tutti i pezzi unici (o quasi) hanno indiscutibilmente il fascino dell’irripetibile, la genuinità della mano dell’artigiano e una sorta di aura magica: “sono” e “sono così” in questo istante, poi chissà. E, semmai, per un fortuito caso o per destino, ci si rincontrasse, non saremmo comunque più gli stessi, né noi, né il vino. Questo vale per qualunque vino. Ma per il pezzo unico (o quasi), quello del vedo – non – vedo, del ci sono – ma forse non ci sono, vale ancora di più. Se non altro da un punto di vista poetico. E il pensiero che di questo Vecchie Vigne sia stata prodotta solo questa annata e che tutta la produzione sia andata in Norvegia ufficializza la sua posizione di “pezzo unico” avvolto dal mistero. Una stangata di pietra, carne cruda e radici. Di erbe medicinali e cera. Snello ma non magro, scattante e atletico. I sentori in bocca entrano rapidi, dritti e decisi come un treno alta velocità e si dispongono a semicerchio sul fondo della bocca, alla radice della lingua, come le voci di un coro, qui la squillante armonia dei contralti.


“Un sorso di Gattinara. Purchè vero, s’intende. Non chiedo di più.”(Mario Soldati)

GATTINARA OSSO SAN GRATO 1996 – ANTONIOLO
Da ricercarne l’essenza nel silenzio parlante. Emette piccoli segni, a stimolare l’olfatto, per riabbassare subito il capo in nuovo raccoglimento. Bisogna interpretare quegli accenni di legno arso, poi silenzio. Uno sbuffo di olio di bergamotto. E silenzio. Una striatura di cera. Amo i vini che scoprono pochi e piccoli indizi, piccole stringhe in alfabeto morse, costringono all’attenzione, stimolano la curiosità, la voglia di capirne il messaggio. Silenzioso naso che chiama raccoglimento. Un monaco assorto nel suo filosofare a bassa voce. Poi, terminata l’ora di raccoglimento, il monaco si rivela per quello che è e scopre un animo splendido, potente. L’acidità andrebbe misurata in decibel. La precisione della traiettoria che questa freccia incide in bocca sembra disegnata con riga e squadra. Veloce e tagliente attraversa lo spazio che si trova davanti lasciando sacchetti di sale, mucchi di erbe, cumuli di sassi. E’ un monaco, ma un monaco lottatore dello Shaolin. Solo che questo non usa pugni o bastoni, in accordo con la concentrazione che pratica e che ispira, ad ogni sorso ricarica l’arco di una nuova freccia, consapevole e certo di non mancare il bersaglio.


Alla Festa dell’Uva di Boca, negli Anni Trenta, si ascoltava questo motivetto: “(…) Campare può cent’anni, Cent’anni e forse più, Chi beve il vin di Boca Non s’ammala più. (…) Il vin di Boca Rallegra il cuor, è saporito, ha un bel color”

BOCA 1985 – CONTI
Brilla di rosso, questo vino, portando in sé i tratti somatici, i lineamenti e i colori del territorio di cui è figlio. Territorio fatto, appunto, di rosso che brilla. Figlio delle uve che da sempre si accoppiano da queste parti, il nebbiolo, da cui orgogliosamente eredita il fianco agrumato, dritto e definito, e la vespolina, con le sue spezie multiformi e multicolori, che gli cuce addosso un vestitino di estro e fantasia. Bocca di un’acidità quasi da brivido glaciale, sangue e carne cruda a equilibrare subito con una soffiata di calore. Miniera di sale e minerali da raccogliere interi. Schiena dritta, eleganza seria ma non severa, ad ogni sorso dimostra di avere il desiderio di esprimersi e dialogare, raccontarsi, a patto di venire ascoltato con attenzione. Un vino che resta dentro, che penetra gli spazi che trova, vi si insinua con fermezza ma con educata gentilezza e pur essendoci ancora lascia già un senso di malinconia per quando sarà andato via. Accompagna per ore, come quando ci si sveglia con un motivo in testa e non lo si dimentica per tutto il resto della giornata. Come quando si medita ripetendo un mantra. Che in questo caso, è il vino stesso. Perciò, la saggezza popolare espressa dalla canzone del Boca ha il suo fondamento: l’analisi visiva che riconosce il bel colore c’è, il sale che caratterizza olfatto e bocca, anche. Rallegra il cuore, anche questo è vero. Ma, prima di rallegrare il cuore, fa pensare.


“Rupi del Vino – Documentario 2009, Ermanno Olmi “
Il momento del vino, nella mia infanzia contadina, era vissuto con partecipazione diretta al rito che ogni anno puntualmente si ripeteva e perpetuava a cominciare, appena fuori dall’inverno, dalla preparazione della vigna con la cura dei tralci e della zolla. E poi in primavera, quando le mani del vignaiolo frugavano con dolcezza nel fitto del fogliame dove spuntavano i primi grappoli ancora minuti come neonati. Prossimi all’autunno, ogni giorno si scrutava il cielo e si invocava l’aiuto divino perché la burrasca e la temutissima grandine non rovinasse il raccolto. E finalmente la vendemmia. Mani addestrate e agili coglievano grappoli ricchi di umori della terra e vigore del sole, dai chicchi turgidi di succo e di luce. E mentre si colmavano cesti in contentezza, dai filari delle vigne salivano canti di festa quasi si compisse il rito di ringraziamento per un premio meritato. La pigiatura era festa per tutti: augurio di abbondanza e rassicurazione di sopravvivenza. Il vino è l’immancabile offerta all’ospite, un invito alla compagnia, alla pacifica convivenza. Il vino è alimento e insieme sostanza di sacralità.”

VALTELLINA SUPERIORE SASSELLA –VIGNA REGINA RISERVA 1991 – AR.PE.PE
Grazie, poesia, aria e lirismo. Vino dalla grazia ammaliante, dal sorriso abbagliante. Un giardino di fiori colorati, di botteghe con bastoncini di liquirizia ed erboristerie di legni profumati, di aranceti ed erbe alpine, di distese lilla di lavanda e indaco di iris. Aereo e dal respiro profondo, vaporizza i sentori al naso, in bocca è un pennello a punta fine che dipinge il paesaggio sospeso tra sogno e realtà, tra fili d’erba e nuvole. Dalla fatica ed il sudore necessari per ottenerlo, scaturisce un vino di carattere ma gentile, aggraziato, leggiadro nello spirito e dalla mano leggera ma abbastanza decisa da spingere via le nuvole cariche di pioggia. Dalla fatica e dal sudore scaturisce un vino del buonumore, terapeutico, un toccasana luminoso, un vino che è un paesaggio, di verde, di violetto e di azzurro.


Le Langhe (Ferie d’Agosto – Cesare Pavese, 1942) “L’amico guardò la luna, e ci pensava. Mi pareva davvero di non averla mai vista così, ma insieme di averne in bocca il sapore, di salutare in lei qualcosa di antico, di infantile, tanto che dissi: – E’ una luna da vigna. Da bambino credevo che i grappoli d’uva li faccia e li maturi la luna. (…) Ora il brivido mi aveva lasciato e la luna col suo sapore di vendemmia ci guardava entrambi come una creatura che conoscevo e ritrovavo. (…)”

BARBARESCO RABAJA’ 1995 – GIUSEPPE CORTESE
Nessuna punta, nessuno spillo, nessuna lama. Piuttosto viola e rosa, aspettate, sì, ma così belle nella loro regale semplicità da superare ogni aspettativa. Ortensia ed iris a far da damigelle. E curve collinari, dolcezze senza asperità, rotondità mai lascive. Bocca di sacchi di sale, di estratto di rabarbaro e di carne cruda. IL suo estratto è da far tremare il piatto della bilancia, e tuttavia non si può dire che non sia leggero, anche nella sua innegabile potenza. Vino di corporatura grossa ma al contempo fine, elegante. Grosso ma proporzionato, mai grasso, mai debordante. Equilibrio ammirevole e misterioso: questo vino è sferico, ma presenta angoli.

BARBARESCO BRIC DI NEVEIS RISERVA 1989 – DANTE RIVETTI
Come ne “La Guerra dei Roses”, del suo stesso anno di nascita, anche in questo vino c’è una sorta di coppia che si allontana e si riavvicina, che sembra parlare due lingue diverse, che sembra venire da due mondi diversi e che su due mondi diversi è decisa ad andare. Dopo tanto tempo si propone nuovamente una situazione unica, dopo tanto tempo in cui naso e bocca sono per me concettualmente fusi, non è possibile in questo caso non seguire le avventure di naso e bocca di questo vino. Il naso sta pacatamente, senza alcun segno di disperata rassegnazione, procedendo lento verso la vecchiaia ed il riposo, presenta i capelli bianchi e qualche ruga ovvero i sentori del nebbiolo maturo, vinile, foglie e concentrato di pomodoro, gamelle di brodo vegetale. E poi uno sbuffo di sigaro, una mentina. Un avvicinarsi alla vecchiaia lucido e intenso, consapevole e profondo. La bocca invece, la bocca alla pensione non ci pensa proprio: acida e salata, tanto acida e tanto salata. Fulgida e vividissima, energica e travolgente, una donna bella che sogna ancora serate danzanti e non il riposo da pensionato accanto al compagno. A differenza di quello del film, il finale di questo Barbaresco non è stato ancora scritto e ne passerà ancora, di tempo.

BAROLO 1982 – PIO CESARE
Naso caleidoscopico: c’è tanto di tutto qui. Uno di quei nasi che dovrebbero vendere agli scrittori in crisi: apre un mondo in cui realmente c’è tutto quello che ci si vuol trovare. Menta e cioccolato, arancia impregnata di sale. Tannini che giocano integrandosi alla perfezione, con delicatezza ma indubbia presenza, nella trama di infiniti profumi e sapori. Bellissimo il ritorno in retrolfazione delle varie famiglie di sentori, come danzando una quadriglia, armonicamente, ritmicamente, si ripresentano due, tre volte, lasciando la cavità orale e la gola nella piena soddisfazione.

BAROLO COLLINA RIONDA RISERVA 1982 – BRUNO GIACOSA
Dichiara trentadue anni ma resta forte il dubbio che si prenda gioco di noi. Che abbia fatto un patto faustiano. Che abbia visitato la Fontana dell’Eterna Giovinezza. Comunque abbia fatto, è innegabilmente giovane. Presenta un susseguirsi inarrestabile di profumi, di cui stringe in pugno l’intera scala delle intensità; minerali, erbe aromatiche secche, pomodoro, tabasco, rabarbaro, cardo, infuso di menta, erbe fresche amare, graffi di grafite e manciate di sale sparse qua e là, per buon auspicio di lunga vita e contro ogni malocchio. In bocca scalpita come una furia, snello e dal muscolo ben tornito galoppa a larghe arcate, da purosangue qual è. Una forza della natura, coinvolgente, cangiante, mobile. Personalmente, di solito, sono attratta dall’imperfezione. A questa perfezione era impossibile resistere.

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Alice in Wonderland

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull’isola deserta azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l’articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

3 Commenti

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patrizia

circa 10 anni fa - Link

Ho tratto emozione leggendo. Grazie

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carolain cats

circa 10 anni fa - Link

che bel pezzo... bello bello bello!!!

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Rossano Ferrazzano

circa 10 anni fa - Link

"...io il fara vecchie vigne 2004 ce l'ho-ooo, e ttu no-ooo!" :-D

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