La mia prima volta. Ovvero: l’etichetta che mi ha fatto diventare quello che sono/2

di Jacopo Cossater

Alla fine di quel campionato con il Parma, era il 2003, Adrian Mutu aveva segnato la bellezza di diciotto gol. Moltissimi, tanto che a livello di marcature quella fu la sua miglior stagione di sempre. Solo Vieri lo superò in classifica: nell’Inter riuscì a segnare ventiquattro volte in ventitré partite, un altro record personale. Fu un campionato di Serie A molto bello, vinto da una delle Juventus più forti di sempre, quella di Marcello Lippi. Una squadra di rara compattezza che perse la Champions League ai rigori, si era imbattuta nel Milan di Ancelotti e nello sguardo di Andriy Shevchenko, come dimenticare quell’ultimo tiro. Me lo ricordo benissimo, Adrian Mutu. Giocava come seconda punta nello stesso Parma di Adriano, Gilardino e Di Vaio. Quel Parma che aveva appena vinto la Coppa Italia ed in cui aveva trovato spazio con fatica. Lui veniva infatti da un Hellas Verona meraviglioso e maledetto, retrocesso pochi mesi prima contro ogni pronostico.

Cosa c’entra tutto questo con la bottiglia che mi ha cambiato la vita? Erano gli anni dell’università, i ritmi delle giornate erano scanditi dalle lezioni e dagli esami, dalle molte feste, dalle chiacchiere al bar. Su tutte, quelle relative all’ultima giornata di campionato ed alle formazioni dell’immancabile fantacalcio. Bene, furono anche quei diciotto gol di Mutu a contribuire alla mia vittoria di quell’anno. Un successo che mi procurò un immenso orgoglio, un po’ di invidia da parte degli altri partecipanti e quello che ancora oggi verrebbe definito come un discreto gruzzoletto.

C’era da festeggiare. Tra le altre cose, ero in giro con quello che ancora oggi è uno dei miei più cari amici, andammo in uno dei ristoranti che eravamo soliti bazzicare ed ordinammo un Amarone della Valpolicella, il 1998 di Montresor. In quel periodo il vino era compagno sempre presente, ma mai protagonista. Le morbidezze di alcuni Nero d’Avola andavano per la maggiore ed anzi, la Sicilia tutta era una sorta di trending topic permanente. Un vino, quell’Amarone dalla bottiglia satinata, che da allora non ho più riassaggiato, ricordo però bene che tra me e me dissi: “è troppo buono, da domani voglio davvero provare a capirci qualche cosa di più”.

[La prima puntata la trovate qui].

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

4 Commenti

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Pietro Caputo

circa 11 anni fa - Link

Ahimè come ti capisco... a me è capitato alla fine della mia festa di compleanno del 2005... aprii un Rum Malteco di 20 anni, e feci più o meno il tuo stesso pensiero dopo anni di orrendo havana club...“è troppo buono, da domani voglio davvero provare a capirci qualche cosa di più”... se ti dico che ora per me è quasi imbevibile persino quel rum e lo Zacapa XO... potrai capire quale danno sia stato per il mio portafoglio quella decisione di approfondire la conoscenza di questo grande distillato... :) talvolta penso proprio "beata ignoranza"!

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Marco Meneghelli

circa 11 anni fa - Link

Mi ricordo che ero in seconda media, ed era sabato a pranzo, mio padre mi ricordo che non era solito aprire grandi bottiglie, ma quella volta era una occasione speciale, mia sorella e il suo ragazzo dissero a mio padre di volersi sposare. Mio padre aprì un brunello di banfi 1997 ero un bambino ancora ma forse da lì avevo capito che c'era qualcosa di diverso dal vino che era sulla tavola tutti i giorni. Conservo ancora il tappo di quella meravigliosa bottiglia.

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mauro fermariello

circa 11 anni fa - Link

A me,invece, m'hanno rovinato le donne!

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Daniele

circa 11 anni fa - Link

il mio coming out? State pronti: Chianti Riserva Nipozzano Frescobaldi

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