La mia prima volta. Ovvero: l’etichetta che m’ha fatto diventare quello che sono/3
di Alessio PietrobattistaLa mia prima volta? Un minimo di preliminari ci vogliono, prima di arrivare al dunque. Il mio rapporto col vino inizialmente è stato molto ostico, pure troppo. La spiegazione è semplice: è facile credere di non amarlo (per usare un eufemismo) quando bevi solo ciò che si produce con approssimazione in casa, e nasci circondato da fraschette che propinano vinaccio sfuso di quelli che, a detta dell’oste, “Lo pijo da un contadino che non ce mette gnente”. Ripensandoci a mente fredda, l’oste aveva ragione: probabilmente il contadino non ci metteva nemmeno l’uva, dentro quella brodaglia.
Il mio primissimo approccio ad una bevanda alcolica ottenuta dall’uva fu con ciò che mio nonno realizzava nella sua baracca di mattoni dietro casa. Premessa: in confronto a mio nonno, Gravner è un modernista che fa della chimica il suo cavallo di battaglia. Si produceva soprattutto bianco, da uve Trebbiano e Malvasia che vendemmiavamo dalla vigna di un amico di famiglia, uno che la mattina, appena sveglio, si sparava 3 caffè corretti di seguito.
L’uva raccolta per l’intera giornata finiva nella pigiadiraspatrice e subito in serbatoio dove rimaneva a macerare sulle bucce per un tempo determinabile da una funzione crescente di t, con t tendente all’infinito.
Nessun controllo della temperatura, nessun accorgimento tecnologico, contenitori in vetroresina e basta. Una parte del fermentato veniva imbottigliato a Pasquetta per ottenere il prodotto di punta della casa: un rifermentato demi-sec di ottima beva, quello sì davvero nelle mie corde. Il resto era invece un orange wine con tendenza mortale all’ossidazione, nel tempo di un conto alla rovescia a Cape Canaveral.
Viste le premesse è già un miracolo essere riuscito a ritrovarmi oggi, spesso e volentieri, con un calice in mano. Per colpa o merito di chi? Dell’Osteria di San Cesario ed è lì che è avvenuta la mia prima volta. Galeotto fu Alessandro Ferracci, mente diabolica di sala e cantina. Ci andai su consiglio di un collega di lavoro, a suo volta amico storico di Alessandro, nell’ottobre del 2002. A parte il pranzo, per me paradisiaco, alla domanda “Che vino vi porto?”, il panico prese possesso del tavolo. Alessandro a quel punto, mosso a compassione e vedendo la mia evidente impreparazione, scelse per me. E qui inizia il mio soliloquio interiore:
Ohibò, quant’è grande questo calice… e com’è rosso questo vino. Aspetta che annuso. Caspita! Niente acetica, tutto molto pulito e fruttoso, addirittura pare che ci sia dell’altro! Ora, non sono pratico ma pare quasi pepe. Assaggiamolo… ma dai! Bono! E’ morbido, vellutato, non rasposo, scende giù che è una bellezza e sa di frutta rossa, di prugna soprattutto. Fico! Ma davvero esiste vino così? Davvero esiste un mondo in cui il vino è di questa levatura? Ma è la cosa più buona che abbia mai bevuto, è di sicuro il miglior vino del mondo! Voglio proprio ricomprarlo e riberlo a casa, magari compro anche i calici grandi! Che bello!
Era uno Shiraz Casale del Giglio. Non mi sono fermato lì. Per fortuna, forse.
[La prima puntata, e la seconda delle nostre memorie. Immagine: Cibando.com].
12 Commenti
Antonio Scuteri
circa 11 anni fa - LinkConfermo che la prima volta che ho incontrato Alessio, all'Enoteca La Barrique di Roma, pochi mesi dopo, era proprio quello il vino che stava bevendo in compagnia di amici. E confermo che dopo non si è più fermato, sfruttando al massimo passione e talento ;-)
RispondiAlessio Pietrobattista
circa 11 anni fa - LinkBei tempi ,quando bastava poco per divertirsi :D
Rispondiandrea
circa 11 anni fa - LinkFermato? Non si è più fermato di bere Shiraz di Casale del Giglio... :) Certo che ora... quell'orange wine sarebbe un'altra cosa, con te alla plancia di comando...
RispondiAlessio Pietrobattista
circa 11 anni fa - LinkNo macchè, farei disastri inenarrabili Andre' ;)
Rispondisir panzy
circa 11 anni fa - LinkGrazie Alessio, grazie di cuore che non ci hai propinato la solita storiella che "il vino che faceva mio nonno era il bianco più buono d'italia e di francia escludendo i comuni di chassagne e di puligny... non ci metteva niente ed era sempre buonissimo..oggi gli enologi-stregoni-chimicalbrothers rovinano ed inquinano tutto... ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhh il vino del nonno" :D
Rispondidaniela @senza_panna
circa 11 anni fa - Link“il vino che faceva mio nonno era il bianco più buono d’italia e di francia escludendo i comuni di chassagne e di puligny… non ci metteva niente ed era sempre buonissimo..oggi gli enologi-stregoni-chimicalbrothers rovinano ed inquinano tutto… ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhh il vino del nonno” questo è quello che dice mio padre, lo ammetto... :-D
RispondiAlessio Pietrobattista
circa 11 anni fa - LinkMio caro Sir, figurati. Penso che il vino del nonno sia, nel 99% dei casi, una delle cause maggiori di astemìa al mondo. Chi beve vino del nonno avvelena anche te, digli di smettere. :-D
Rispondialessandro bocchetti
circa 11 anni fa - LinkDipende dai nonni ovviamente ;) Bel pezzo! Ora capisco la tua manica larga con il vino palustre... Una roba romantica ;) Ciao A
RispondiAlessio Pietrobattista
circa 11 anni fa - Linkhai capito Alessa'?!? :-D
RispondiPietro
circa 11 anni fa - LinkQuanto mi sarebbe piaciuto nascere nipote di Valentini, portare ad una cena un trebbianino senza etichetta e dire "ah, questo è il vino di nonno"... e vedere la faccia degli astanti...
RispondiManilo
circa 11 anni fa - LinkAllora non sono l'unico che a forza de malvasia e trebbiano diventavo quasi astemio. Io iniziai con un Contessa di Radda, Geografico, l'importante che c'era il Gallo Nero, poi piano piano uscii dalla Toscana e vidi che c'era altro.
RispondiAlessio Pietrobattista
circa 11 anni fa - LinkMani' ci siamo passati un po' tutti. :-)
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