Interrogativi sul futuro dell’azienda Biondi-Santi partendo da una verticale pazzesca del Brunello di Montalcino

di Alessandro Morichetti

Nei giorni piovosi e tristi io penso a Merano, il suo Winefestival, le Terme: perché quando sei nella piscina calda all’aperto in novembre e piove o nevischia, la vita ti sorride. La splendida cornice del Merano Winefestival ha ormai scalzato gli assaggi compulsivi dal mio più alto indice di gradimento dei buoni motivi per esserci ma ci sono eccezioni e la verticale di Brunello di Montalcino Biondi-Santi dell’edizione 2013 è stata uno di quelli.

Mi sono precipitato per due ragioni: godere dei Brunello mitologici che hanno segnato la storia italiana del vino e avere indicazioni sul nuovo corso dell’azienda, oggi guidata da Jacopo dopo la morte del padre Franco Biondi-Santi.

Buona la prima, caso vuole proprio nella stanza che l’anno precedente aveva ospitato una splendida verticale in 8 annate di Masseto. Altro vino, altra parabola, altra storia di Toscana. Da articolare la seconda ragione, per insufficienza di prove.

Della verticale in sé riporto disconnesse note di degustazione, particolarmente approssimative, non punteggiate e utili solo da un punto di vista affettivo perché la mia sintesi a posteriori è stata: “Riserva 1985 migliore della batteria di oggi, esemplare. 1983 più volumico e balsamico, di maggiore impatto e immediatezza, meno sfumato del 1985. Terzo gradino del podio alla pari per 2001 Riserva e 1971, prima annata prodotta da Franco Biondi Santi”.

Questo il flusso di coscienza appuntato sul taccuino, senza pretesa di esaustività e con molti auto-riferimenti al vino che precede o che segue. Ove non specificato ci si riferisce alla versione “annata” del Brunello di Montalcino dell’azienda Biondi-Santi. Ufficio reclami aperto ore pasti.

2008: classico tenue, sanguinello, erbe aromatiche, mentuccia, beva sciolta, tannino serrato.

2007: ciliegia, pepe bianco, bella sensazione di frutta che avvolge il palato, tannino più duro e più chiuso, fresco e ritmato. Molto invitante.

2006: classico, oltre la frutta è balsamico e bello, alga e amarena, avvolgente e delicato con una punta di acidità rinfrescante; spessore del vino più coinvolgente del 2007, più verticale, si allarga bene sui lati della lingua.

2001 Riserva: tabacco verde, succo di frutta alla pesca, avvolgente, tridimensionale, una grandissima boccia. Spettacolo.

1997 Riserva: granato trasparente, bordo arancio, naso severo, si concede poco, non molto espansivo, annata molto calda ancora di eccezionale integrità, poi si apre, tannino meno fine di altri, rimane un pelo … (parola incomprensibile).

1985 Riserva: Vino del centenario aziendale, l’anno della gelata in cui morirono gli olivi. I fiorentini camminarono due volte sull’Arno. Bottiglia eccezionale, il mio top di giornata.

1983 Riserva: da ottima annata, colpisce per una balsamicità spinta, evidente e voluttuosa. Poi violetta e fragilità, goudron. Anno dell’adozione del tino aperto. Gran gran vino.

1971 Riserva: arancia candita, mela cotogna, un cenno di straccio bagnato poi tabacco. Più sta nel bicchiere più si apre. Il primo vino di Franco Biondi Santi. Time machine.

Fin qui il ricordo sui vini. Quanto invece al presente e al futuro dell’azienda Biondi-Santi, nulla fu possibile intuire dalle parole di Alessandro Ali, responsabile commerciale il cui curriculum attuale recita: Direttore Commerciale Italia e Marketing JACOPO BIONDI SANTI JBS Srl- BIONDI SANTI GREPPO Srl. In una battuta, i curriculum non sono come addizioni e moltiplicazioni: invertendo l’ordine dei fattori, il risultato cambia.

Della conduzione attuale dell’azienda non fu possibile capire granché oltre le comprensibili formule di circostanza. Mera constatazione.
Quel che ero curioso di sapere l’ho scoperto qualche tempo dopo in un posto insospettabile: Facebook.

A questo punto, è lecito essere curiosi del futuro dell’azienda Biondi-Santi?
Io del “tal Franco Biondi-Santi” (cit. Max Bernardi, che se vi racconto l’aneddoto schiattate di risate) conservo solo questa lettera che mi scrisse dopo aver letto un post qui su Intravino dal titolo “Ezio Rivella può aiutare Barolo e Barbaresco in un modo solo: rimanendo a Montalcino“. Perché da queste parti sappiamo benissimo come farci tanti amici :-).

[Su Percorsi di Vino, interessante post di Andrea Petrini su una bella verticale romana del Brunello Biondi-Santi]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

8 Commenti

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Angelo D.

circa 10 anni fa - Link

Mi pregio di essermi seduto al suo fianco dinanzi al camino al Greppo e chiacchierato per 4 lunghissime ore. Nessun timore per il futuro dell'azienda. Poi però lui è scomparso...

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Raffaella Guidi Federzoni

circa 10 anni fa - Link

Il mito risiede al Greppo, non appartiene né a Franco, né a Jacopo e nemmeno a Tancredi Biondi Santi Se non si tiene conto di questo presupposto, tutti gli altri discorsi sono inutili. Tancredi Biondi Santi fu un grandissimo enologo, interprete sommo del sangiovese. Non solo nella sua azienda a Montalcino, ma anche altrove in Toscana. Oltre ad aver contribuito alla formazione di un altro mito, quello dell'azienda di Fiorano, alle porte di Roma. Uno dei suoi allievi migliori è stato Giulio Gambelli. Franco, figlio di Tancredi, ha avuto dal padre le chiavi di cantina quando già era un uomo maturo, padre di famiglia. Questo non per dire che non partecipasse alla vita aziendale ed alla produzione del vino, ma solo per significare che al Greppo hanno sempre comandato uno per volta. Franco Biondi Santi ha continuato il lavoro di suo padre, consolidando la fama del loro Brunello e di riflesso aiutando la crescita della conoscenza di Montalcino e dei suoi vini. E' stato un vignaiolo puro, in vigna ed in cantina. Ha seguito le indicazioni del padre, piegandole però al suo gusto e ad una tendenza di allora che richiedeva soprattutto longevità, oltre che finezza e complessità. Il Brunello si vendeva perché fosse messo da parte per anni. Il sangiovese si vendemmiava con questo intento e le stagioni - ebbene sì, non è solo un luogo comune - erano diverse. Ho avuto l'onore di lavorare al Greppo con Franco e ho imparato molto. Ho imparato che il vino, quello vero, ha bisogno della mano dell'uomo, qualsiasi sia il territorio da cui provengono le viti. Ogni uomo è diverso, ogni stagione è diversa. Sono molto affezionata al ricordo di Franco Biondi Santi e sono anche molto affezionata a suo figlio Jacopo. Al di là di certi atteggiamenti guasconi c'è una persona attaccatissima alla sua azienda e alla sua famiglia. Si è trovato a fronteggiare una responsabilità grandissima in tempi molto difficili. Trenta, venti, anni fa era tutto rose e fiori. Il Brunello si vendeva come le noccioline. Ora si vuole un vino già buonissimo da subito, ma anche in grado di affrontare lunghi invecchiamenti. Ora il clima è cambiato. Ora è cambiato l'uomo che tiene il manico. Lo scandalo sarebbe se il vino si facesse sempre nello stesso modo, fraintendendo quello che è un luogo o un suolo con quello che è lo stile del suo homo vinosus. I vini dalle vigne del Greppo conserveranno la loro identità intrinseca anche vestendosi dei panni di un nuovo sarto. Potranno piacere di meno, perché noi siamo tendenzialmente pigri e ci piace pensare che per secoli sono stati così e per secoli lo saranno ancora. O forse potranno piacere di più, saranno più pronti, meno ossuti, più freschi e polposi, con un poco più di ciccia a contorno della nobile ed austera struttura, senza scadere nell'obesità. Avranno sempre la classe immensa e finissima del sangiovese di queste parti. Jacopo Biondi Santi ha tre figli, i due maschi si chiamano Tancredi e Clemente, li ha chiamati così in onore ad una tradizione familiare che per lui è importantissima. Non lasciamoci sviare dalla personalità del figlio rispetto a quella del padre. Aspettiamo il vino. Grazie del commento, grazie davvero. [ale]

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Intervento di succo e di classe. Mi ha fatto molto riflettere. La mia prima reazione alla lettura della parola "inoculo" è stata quasi istaminica. La seconda, più ponderata, la devo in parte considerevole al commento di R.G.F., che mi ha cavato dall'impaccio di una riflessione prolungata, offrendo una soluzione immediata: a metà tra time will tell e historia magistra vitae. La terza vede malgré elle R.G.F. come causa inconsapevole di un banale pensiero su noi scriventi d'attualità. Convinti di poter reagire agli eventi a ritmo pari a quello loro proprio e della congerie di messaggi che essi generano, siamo esposti a una discrasia tra attualità e storia che non è solo temporale, bensì di senso: non ci diamo tempo di ragionare e interpretare. Non siamo più lettori: siamo divenuti, per così dire, reagenti e ripetitori. Io per primo, che se non decido di fermarmi leggo "inoculo" e vengo assalito da prurigini diffuse, faccio meglio a riprendermi il tempo di prestare occhio e orecchio a tutti i possibili spunti di riflessione. Insomma, chi come noi si vota all'attualità rischia di leggere inoculo e scrivere in preda all'inoculazione precoce.

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carolain cats

circa 10 anni fa - Link

sapevo che arrivavi tu a metter ordine :))))

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Nel mondo (molto ignorante e superficiale) del vino si ama credere che tutto ciò che c'è oggi ci sia sempre stato, che i miti attuali esistano dal tempo di Noè e siano sempre stati uguali a se stessi. Stupidaggine galattica, se si risale anche solo a mezzo secolo fa quelli che allora erano famosi oggi sono quasi tutti spariti, e i sempre esistiti di oggi allora nessuno li conosceva. Giusto per stare nei Biondi Santi, Tancredi era lo studente discolo che si è mandato all'istituto agrario invece di fargli fare il farmacista come suo babbo, e guarda te che gran monumento dell'enologia ha finito per essere! E Franco? A fine anni sessanta quasi nessuno pensava che potesse essere all'altezza di suo padre Tancredi, ma quando è morto era una leggenda. Date tempo a Jacopo, farà vino in modo diverso da chi lo ha preceduto come a suo tempo hanno fatto suo babbo, suo nonno e suo bisnonno ma l'albero è buono, e tutto quel che fanno i Biondi Santi in genere non viene apprezzato granché quando ha pochi anni ma con il tempo stupisce. In genere in bene.

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Montosoli

circa 10 anni fa - Link

Lo stesso bello discorso che hanno fatto quelli di Chateau d'Yquem.......tutti ne parlano......tutti lo collezionano......ma nessuno stappa le bottiglie...... Come mai ?

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francesco vettori

circa 10 anni fa - Link

Il feticismo del collezionista.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

In questi tempi bigi pochi stappano le bottiglie costose, cinesi (fino all'anno scorso) e russi esclusi.

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