Impresa ardua: testare 5 Champagne con l’etichetta proprio brutta nel tentativo di trovarci il principe

di Alice in Wonderland

Penso che il concetto di “brutto” porti in sé qualcosa di estremamente affascinante, misterioso, intrigante ed attraente. Il bello, come oggetto di indagine, potrebbe finire per diventar noioso. “Il bello ha dei canoni precisi, il brutto, invece, lascia spazio all’immaginazione perché può ispirare sia disgusto, sia pietà. E ogni epoca ha le sue regole.” Così Eco, autore di uno dei saggi più illuminanti e, al contempo divertenti, letti negli ultimi anni, L’elogio della bruttezza.

La fascinazione del brutto nasce non solo dal concetto in sé, sentito come oggetto ancora poco indagato, ma anche da una certa assuefazione all’elogio del bello, da cui poi, la percezione del noioso. Da queste considerazioni vitali discusse al tavolino di un bar davanti a una media chiara, l’idea di una caccia al tesoro: perché non divertirsi un po’ ad inseguire le etichette di Champagne più brutte possibile rintracciabili e acquistabili sulla faccia di Roma? Etichette intese davvero letteralmente: gli adesivi incollati alle bottiglie. E, al contempo mettere alla prova il principe dei luoghi comuni: questo famoso abito, lo fa, alla fine, il monaco?

La ricerca delle bottiglie è durata il suo tempo, più di un’etichetta è saltata subito all’occhio, offrendosi al primo sguardo tutte le caratteristiche rispondenti al mio personale canone di bruttezza. Altre hanno ispirato travagliati parti mentali: sì, erano brutte, ma in fondo così brutte da avere qualcosa di bello e se Voltaire ha ragione, tutto quadra: “Chiedete a un rospo cos’è la bellezza, il bello assoluto, il to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. […]“ (da Dizionario Filosofico).

 

Robert Barbichon, BdN Brut Rosé Cuvée (Pinot Noir 100%)
Importanza e contributo del dove–come–quando, ovvero dell’ambiente e della circostanza. Con gli amici a fare da cavie e prima di un pranzo (cucinato da me). Come ad augurarsi: speriamo che i 12,5 gradi a stomaco vuoto aiutino a dimenticare. Uno Champagne dalla presentazione esuberante, vestito di rosso e profumato di rosso di amarene e ribes. Da festa, in maschera. Lui porta quella del re della foresta, ma dopo il ruggito iniziale mostra il corpo da bimbetto secco e ossuto.


Vazart-Coquart et Fils – Champagne Sec Special Foie Gras (Chardonnay 85%- Pinot Noir 15%)
Bollicina grande come quella della Ferrarelle. Naso vegetale di erbe aromatiche e radici. Dritto come una freccia, serio come un piantone dopo una notte in guardiola. In bocca è tanto, rotondo, grasso, la coppa trabordante di una 5° di reggiseno. E’ un filo amaro di mandorla che tiene insieme le varie sensazioni, restando tuttavia, nell’insieme, lento e monocorde, nonostante la sferzata di freschezza delicata di pompelmo. Ma, come suggeriscono il nome ed anche la retro etichetta, probabilmente è accostato al foie gras che, come Lazzaro, si alza e cammina. Forse c’è anche da capirlo se per pollo e patate arrosto non si spreca. Se fossi un assemblaggio di varie vecchie vendemmie, probabilmente, non lo farei neanch’io.


Serge Faust – Cuvée Emeraude
Questo è proprio un mostro a due teste: sull’etichetta compare la SF di Serge Faust, il tappo la firma di José Ardinat, suo genero. Sulla capsula campeggia la foto a colori di un uomo, e la scritta “40 anni”. Che palesemente non si riferisce alla sua età, come sottolineato in etichetta. L’ etichetta della cuvée Emeraude, in perfetto pendant col suo nome, ricorda un detergente intimo della linea “freschezza per l’estate”, associazione sottolineata dalle stilizzate bollicine che richiamano quelle del sapone. Ma siamo di fronte ad uno di quei casi in cui l’abito non fa il monaco e nella bottiglia c’è una bella sorpresa. Il verde si ritrova in pieno, non solo lo smeraldo, ma tante sfumature, da quello fresco della salvia a quello mimetico del cardo, da quello intenso e caldo dell’erba di prato a quello olivastro delle erbe aromatiche secche. Freschezza d’agrume che attraversa con un squarcio arancio la spessa pennellata verde. E’ vivo in bocca, dinamico, sostenuto da sale e radice di liquirizia, torna a lungo come un’onda senza mai diminuire d’intensità.


Sadi Malot – Cuvée de Reserve (100% Chardonnay – 50% 2010, 50% Vins de reserve)
Champagne del forno. Profumi di lievito di birra, di pane fresco, di spezie dolci e marzapane. Grasso, accogliente, si mostra tutto e subito senza sbalzi né scatti né ripensamenti. Fino all’ultimo sorso resta coerente con se stesso e non muta di un centimetro. Tuttavia, è come se rispettasse un patto che non disturba, la sua immutabilità non risulta noiosa o irritante. E’ semplicemente così. E per tirargli fuori qualcosa in più ha bisogno di un compagno, che sappia esaltarne la rotondità semplice e pulita che non diventa mai un’ostentata e grassa opulenza.


JQ Monde (pinot nero 70% chardonnay 20% pinot meunier 10%)
Non mi sembra vero, se rileggo vecchie note riferite a questo Champagne, che si tratti proprio di lui. Come a sottolineare: e’ bello ritrovarsi per caso, a volte. A volte no. La fotografia scattata ora mostra impietosi aspetti impossibili da eliminare persino per un esperto di Photoshop. Un monoblocco di piombo da un quintale, alternato a un quintale di legna da ardere. Etichetta jingle bells dal color “divisa di Babbo Natale”. Linguaggio visivo foriero di aspettative festaiole? Purtroppo la festa non inizia neppure. La sensazione provata è un certo sgomento, quale si potrebbe provare davanti al “Trionfo della Morte di Bruegel il Vecchio con la marcia funebre di Chopin in sottofondo. (O anche Renato Zero con “Il Carrozzone”). Marmoreo, lapidario. Immortalato sul tavolo dell’obitorio in pieno rigor mortis.

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Alice in Wonderland

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull’isola deserta azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l’articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

3 Commenti

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Bello e divertente!

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Federico

circa 10 anni fa - Link

L'etichetta del Vazart-Coquart et Fils non sarebbe neanche malissimo.....se non fosse per quell'indicazione "Special Foie Gras" e le allegre ochette sotto....da brividi! .....non siamo da meno a casa nostra con la versione bianco per aragosta. Attendiamo ora speranzosi un nuovo sorpasso italiano con un rosso tipo Chianti "Speciale Bistecca" o un Nero d'Avola "per Barbecue" ...ovviamente corredato di disegno o foto evocatica in etichetta (sempre che non esistano già!) :-) :-)

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vittorio

circa 10 anni fa - Link

Dunque anche la bruttezza ha il suo vincitore. E non poteva che essere Mefistofele.. ispiratore di cotanto Faust (Serge) che avvolge con carta ingannevole l'elisir smeraldino di eterna vitalità. Complimenti per le descrizioni immaginifiche e sognanti. E anche di elegante ironia. Il capolavoro è il foie gras che, come Lazzaro, si alza e cammina.

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