Il vino (il cibo) e il posto a tavola

di Pietro Stara

Il posto fisso. Penso di parlare a molti, magari non a tutti, che condividono l’estatica esperienza del posto fisso a tavola. A casa propria s’intende. Che siate single, coppia senza o con figli, la strategia del posizionamento assume, nell’arco di brevissimo tempo e con poche variabili, degli aspetti estremamente formalizzati. In un’ottica prevalentemente maschilista, la donna prende il lato cucina. Essendo deputata per lo più a compiti produttivi e riproduttivi, solitamente le viene affibbiato quel posto che facilita “in piedi –seduto”, “avanti – indietro”, ogni qualvolta se ne renda necessità e capriccio. In una visione pre-paritaria e post-femminista, al maschio sarà assegnato un posto adiacente, di supporto a quello femminile. In una situazione paritaria, totalmente paritaria, la sedia adiacente alla cucina (fornelli, banco servizio ecc.) rispecchia i rapporti di forza che si sono costruiti nei mesi precedenti, disponibilità personali, e/o dal rito propiziatorio di “chi prima arriva meglio alloggia”; “non sopporto gli spifferi”; “siediti tu in quella sedia che io sono un po’ più grassottello e non vorrei romperla”. I figli e le figlie variano posto a seconda del ruolo/concezione del mondo che permea la famiglia e dalla loro età: dalla possibilità di fare più o meno danni. Ma la vera domanda è: quanto varia la nostra disponibilità/capacità sensoriale in funzione di un adattamento fisico cronicizzato? Quando ci si alza più volte da tavola per servire altre persone; quando si copre il bicchiere per evitare che tuo figlio butti dentro la mollica di pane indirizzato all’occhio dell’altro; quando decidi di usare un bicchiere meno adatto, ma più efficace nel contenimento dei vetri che si sparpagliano sul pavimento; quando dici “dai, finisci le carote che hai nel piatto!”; quando sei in attesa di giudizio sui patti che hai preparato con molto amore e un tantino troppo salati?

Il posto mobile. E’ il caso delle fiere vinicole. Il vagabondaggio mobile assume spesso contorni buffoneschi quando oltre al consueto bicchiere a tracolla, tipo cane san Bernardo con borraccia di grappa, le braccia sono invase da: giacca, cappello, sciarpa, depliant di ogni sorta, cellulare (cellulari), riviste di settore. A vita: maglione arrotolato; sulla schiena: zaino modello accompagnatore sherpa; mano sinistra/destra: piattino di assaggio, grissini semi-frantumati; tasche: fettine di salame e pezzi formaggio. In queste situazioni estreme la roteazione del bicchiere implica oltre che la fuoriuscita del liquido vinoso anche: sparpagliamento delle carte, attorcigliamento della sciarpa alla gamba sinistra del vicino; giravolta del bacino stile hula-hoop. Ma lo domanda è sempre la stessa: la condizione deambulante/traballante in piedi può modificare la percezione sensoriale? Quando compriamo un vino assaggiato in un posto mobile e lo portiamo a casa per degustarlo nel posto assegnato e ci delude, quali elementi fisici non attinenti al vino hanno influito nell’impatto sensoriale?

La degustazione organizzata. Sarebbe la condizione ottimale, se non fosse, in alcuni casi, leggermente ansiogena. I tavoli sono accuratamente apparecchiati: salone ampio, luci non invadenti ma appropriate ad evidenziare l’unghia del vino; le tovagliette posizionate ordinatamente; i bicchieri adeguati riposti secondo un ordine cronologico numerico che rispecchia i vini che verranno serviti; personale di servizio, afferente ad una associazione di sommellerie, preparato e sapientemente vestito; tavolo per i docenti; rumori di sottofondo accettabili; vicini di banco a volte sconosciuti. Grissini, pane, e da noi pure focaccia, di ordinanza. Vi è un tentativo di costruzione di un ambiente asettico che dovrebbe non influenzare la capacità/ i criteri/ le voluttà degustative. Ma così non è. L’aspetto scuola elementare + clinica estetica + slide ha un suo influsso nell’indirizzare i caratteri percettivi del vino. I commenti dapprima appena masticati, si riverberano, prontamente, nel vociare in crescendo delle classifiche a punteggio di un campionato appena iniziato. I compagni e le compagne della 3a B iniziano a chiederti quanto hai messo a quel vino, cercando di individuare lo scostamento dal punteggio del maestro. Rimandato a settembre! Corsi di recupero! Le tovaglie presentano già alcune macchie. E’ l’ora della ricreazione e non sei più sicuro di te. Cerchi qualche faccia tranquillizzante: accartocci i tuoi appunti. Se ti va di lusso puoi anche tentare di rubare il foglio del vicino e giocartela con la quella del terzo banco.

La degustazione in cantina per comitive. Spesso assume aspetti simili ad una visita museale (naturalmente molto dipende dalla sua grandezza): il passo è lento, sincopato, medie pause di fronte agli attrezzi di lavoro, spiegazioni più o meno standardizzate. C’è quello che fa troppe domande: ha appena sostenuto il terzo esame Fisar, Il primo Onav, il quarto AIS e il decennale Bibenda. Se non è l’enologo ad accompagnare il pubblico nelle sale, le domande si rivelano fatali per la guida turistica d’ordinanza. Non bastano le memorizzazioni bignami. Il pubblico si infastidisce di quello che fa troppe domande. Intanto i piedi si gonfiano. Si anela al posto fisso: alla tavolata di degustazione. Al riposo del combattente. Il vino? Spesso una variabile diuretica in grado di sgonfiare la pesantezza delle gambe.

La degustazione in piccole cantine di amici di amici di amici. Ambiente informale, botti puniche, foto del trisavolo contadino con la zappa in mano. Ci siede dovunque, anche per terra. Vino spillato direttamente dalla botte e versato in bicchieri di varia foggia a struttura esagonale. Fette di salame che girano come freesby. Il vino è buono, comunque.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

3 Commenti

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Francesco Garzon

circa 9 anni fa - Link

Il posto fisso, un centro perfetto. Infinite sono le sfumature da famiglia a famiglia. Anche se alcuni fenomeni culturali dei nostri giorni potrebbero accomunarci... mia moglie a tavola lontano dai fornelli ma solo perché, dalla cucina aperta sul salotto, riesce a vedere le varie "prove dei cuochi e fiamme", "master esagonali di cucina" e canali a tre cifre del digitale terrestre che parlano di gastronomia.Bambini permettendo.Mi piace così. Centro anche sul posto mobile. Delle "isole" nelle fiere per sedersi e tentare una degustazione non sarebbe male. Ma forse le fiere non sono pensate e probabilmente nemmeno volute per gli "appassionati" del vino? Per la degustazione organizzata trovo che se c'è ha sufficiente volontà, concentrazione ed onestà può essere un buon momento di osservazione e confronto. Idem per la gita in cantina, ma molto più difficile. Inoltre sulle gite in cantina ritengo, (imparato a proprie spese), che sia più bello e più utile prima assaggiare e poi, forse, fare domande, senza attanagliare il produttore o l'enologo di turno.

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carolaincats

circa 9 anni fa - Link

io sono nell'ultima categoria... ;)

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Maurizio

circa 7 anni fa - Link

O acquistato 24 bottiglie nel 2016 (o aperto una bottiglia non si poteva beve era cattivo perché ) io acquisto gallo nero dal 1972 ciao grazie

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