I descrittori del vino al tempo del web e le variabili impazzite (seconda parte)

di Fiorenzo Sartore

Nel dibattito interno e semiserio circa le parole che servono a raccontare la bevanda vinosa, è intervenuta anche Alice, con tutta la competenza semantica di cui è capace – e i lettori intravinici sanno che non è poca. Il suo punto di vista arriva dopo quello di Emanuele, pubblicato nella prima parte. Alice abbandona la prima traccia che parlava più strettamente di significati, e ci intrattiene su alcune idiosincrasie legate a questi. Ecco a voi, di nuovo.

BEVERINO: così si chiama anche l’abbeveratoio per cavalli e bovini e uno sforzo, forse, si poteva pure fare. E seppure “vino beverino” possa suggerire l’idea di un vino ubriaco e di facili costumi, non gli negherei il diritto a una definizione meno zootecnica.

GOLOSO: aggettivo che, se riferito a un vino, mi ha sempre fatto venire la pelle d’oca. Inoltre, ma è solo un caso, traendo ancora spunto dal mondo equino, a me “goloso” fa tornare in mente la pubblicità più antipatica della storia: quella delle caramelle gommose Dufour, nella sua doppia versione: quella del Delfino Curioso (con cui il piccolo odioso ragazzino ha rischiato di venire affogato) e quella, e qui casca l’asino, del Cavallo Goloso.

SHAMPO (nell’ancor più brutta variante, ispirata all’ortografia gallica, “CHAMPO”): Dopo aver ascoltato e anche in fondo condiviso la crociata contro “vinello”e “prosecchino” e gli enoici ostracismi contro “bolla” e “champagnino”, è curioso, ora, sentire dalle bocche degli stessi promotori e sostenitori di quella crociata (e ancor peggio leggere, perché verba voleranno pure, ma con gli scripta sono cavoli amari): SHAMPO, o SCIAMPO, o CHAMPO. Aridateme lo champagnino.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

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