Fermate le rotative, abbiamo le prove: il vino è meglio del Viagra

di Pietro Stara

Vi è un’antica vulgata, che ci giunge da tempi immemorabili ed è ancor oggi in auge, secondo cui alcuni cibi nutrirebbero gli istinti sessuali e, tra questi, il vino nero sopra ogni altra cosa: «il vino ha la proprietà di contenere aria (…). Tale sua proprietà è dimostrata dalla schiuma: l’olio infatti, pur essendo caldo, non fa schiuma, mentre il vino sì, e il nero più del bianco, perché più caldo e più denso. Per questo dunque il vino eccita all’impulso erotico, e non a caso si dice che Dioniso e Afrodite abbiano stretti rapporti. I temperamenti ‘melanconici’ sono, per la maggior parte, lussuriosi, proprio perché l’impulso erotico è caratterizzato da un’emissione d’aria.

Ne è prova il membro virile, che da piccolo rapidamente, enfiato, si ingrossa; e ancora prima che l’eiaculazione sia possibile, a chi, cioè, è ancora ragazzo ma ormai prossimo alla pubertà, deriva un certo intemperante piacere dalla manipolazione dei genitali, evidentemente perché l’aria fuoriesce dai pori, destinati poi a far passare il liquido spermatico. L’emissione di quest’ultimo durante i rapporti sessuali, e l’eiaculazione, avvengono evidentemente ad opera dell’aria che spinge fuori, sì che a buon diritto sono ritenuti afrodisiaci i cibi e le bevande che accumulano aria nella zona erogena. Il vino nero ha quest’efficacia più di ogni altra sostanza, e analogamente anche i temperamenti atrabiliari sono impregnati d’aria.» [1]

La cucina afrodisiaca ha fornito, prima di qualsivoglia viagra di fattura chimica, sintetica e bluastra, ingredienti e sostanze atte a sostenere, non in senso eufemistico, virilità, passioni, desideri e complessioni in via di decadimento: che si trattasse di ceci, fave, cipolle, o dei mitici tartufi; oppure di ostriche, granchi e uova di pesce e di tante e variegate spezie (pepe, zenzero, noce moscata sopra tutte); o che fossero incaricate cervella, gli incontrollati passeri, i testicoli di toro e i membri di cervo, insomma, non mancano supporti teorico-pratici che tentino di indicare, a seconda dei gusti personali e delle tasche di ognuno, un valido sostegno alle fervide pratiche amorose. Rinforzo maschile, non a caso, e perlopiù.

Ma vi è però un ma: nessuno di questi potenti suggeritori si era imbattuto in Freud e, soprattutto, in mia moglie psicologa. Perché uno la fa facile: si mangia due palle di toro, possibilmente crude, cosparse di pepe, pinoli e zenzero, ingurgitandosi un litrozzo di un buon vino rosso, e, invece di trasformarsi in un novello attore della pornografia a durata alcalina, si trasfigura in un tenero orsacchiotto di peluche ronfante sul pavimento di casa o in quello del postribolo in cui si è appena recato.

Come si può pensare, infatti, di alimentare la sorgente del piacere (l’Es) senza fare i conti con la fonte delle inibizioni, il Super-Io? Per capirci meglio: noi buttiamo della benzina sull’Es, cercando di potenziarlo in tutti i modi e, nello stesso momento in cui ci dedichiamo a questa pratica di rafforzamento dei desideri vitali, ecco che il nostro Super-Io interviene con delle carrettate d’acqua sempre più potenti.

Per cui pigliatela bassa: dovete fare esattamente l’opposto. Date da mangiare qualcosa al vostro Super-io: che sia cibo aspro, astringente, e ancora meglio se raggrinzito: una mela caduta dall’albero, semi di zucca, biscotti di segale, ortiche appena colte dai prati e, se proprio vi volete lanciare, anche qualche yogurt naturale. Se non li trovate in giro, potete recarvi in qualche tempio che asseconda le pulsioni di morte (qualche bottega bio…) [2]. Con un po’ d’acqua. Appagato il vostro Super-Io, l’Es si scatenerà come una belva indomita. Solo allora concedetevi una bella cenetta, con quel che vi piace mangiare e bere. Ma soprattutto con chi vi piace mangiare e bere.
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[1] Aristotele, La melanconia dell’uomo di genio, a cura di C. Angelino e E. Salvaneschi, Il Melangolo, Genova 1981, pp. 11-27.

[2] Cfr. James Hillman, Chrales Boer, La cucina del dottor Freud, Raffaello Cortina Editore, Milano 1986.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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