Farnea | Il vino da sete di Marco Buratti, un po’ anarchico, indiano-metropolitano e scazzato

di Giovanni Corazzol

Marco Buratti ha 42 anni, è magro, ha la parlata un po’ biascicata e stanca dei padovani, è in perenne movimento di mani, gambe e lingua. Deve aver vissuto parecchie vite in poco tempo, essersi lasciato alle spalle parecchia roba, tra cui l’esame di chimica alla scuola di enologia. Gestisce a Padova dei locali di successo, poi decide di cambiare vita: va in Nuova Zelanda e trova lavoro come chef. Ci sta bene – “da dio” dice – ma ha 30 anni, arriva un’eredità e a Villa di Teolo nei Colli Euganei c’è il posto giusto per realizzare il suo sogno di vignaiolo: un terreno che ha compiuto i cicli necessari per tornare in equilibrio e che permette di (ri)partire da zero, con la biodinamica come modello a tendere. Marco lascia a malincuore gli antipodi, ottiene dalla Banca il prestito che serve per integrare l’eredità e compra quella terra per cominciare un’altra-nuova vita. Costituisce l’Azienda Agricola Farnea stabilendo da subito la linea aziendale: fare vini da bere a secchiate, prodotti senza chimica né in vigna, né in cantina e che abbiano il giusto prezzo.


2,5 ha di vigna, 8.000 bottiglie (l’ambizione è crescere fino a 15.000, il limite dell’autarchia), vini tutti fatti fermentare in cemento e affinati in botti da 600 litri; idiosincrasia per le capsule sulle bottiglie (“non usarle è il mio modo per non sporcare il mondo”), disinteresse per guide e fiere, animo un po’ anarchico, un po’ indiano-metropolitano, un po’ scazzato.

I vini sono tendenzialmente cinque, tra cui i bianchi fatti con uve in parte sue, in parte di contadini che segue: il Birbo, un bianco a base malvasia e tocai italico; Emma da moscato rosa vinificato a secco; l’Ombra, da uve merlot, cabernet sauvignon, più altri vitigni non meglio identificati; Arietta, da merlot in purezza; Mai Domi, uvaggio bordolese ad assetto variabile di cabernet sauvignon e merlot (nel 2014 rispettivamente 60% e 40%). Poi ci sono degli extra, come il Pazzo che è la prova di una riserva di merlot in purezza vinificata come l’Arietta, ma usando solo l’uva proveniente da viti esposte a sud, una sorta di micro-cru.

L’Ombra (50% merlot, 50% cabernet sauvignon), assaggiata dalla vasca (2014), è vin da soif come pochi; al naso si riconosce subito la modalità di vinificazione in macerazione carbonica (5 giorni) che prevede l’uso di tutto il grappolo favorendo i toni più fruttati; il risultato è un vino da bersi a garganella, fruttato, fresco, appagante. Un vino adolescente e ridanciano su cui Buratti punta parecchio, anche in termini di quantità da produrre.

L’Arietta 2013, come tutti i vini di Farnea, pur confermando la fortissima connotazione fruttata e beverina, si presenta in versione più robusta, decisamente meno puerile rispetto all’Ombra. Un vino uomo di grande freschezza, con degli spigoli nel carattere, ma anche con le sue giuste morbidezze.

Il Pazzo 2013 è tra tutti gli assaggi il più convincente, di certo quello capace di restituire le potenzialità evolutive dei vini di Farnea e la crescita a cui sembrano destinati. Un vino più austero e severo che denuncia complessità superiore, che assomma, alle caratteristiche di bevibilità, una profondità ed una potenza adulta, controllata, piacevole, per nulla grossolana anzi tendente alla finezza. Deve diventare il vino di punta, un esperimento da confermare.

Intendiamoci, non sono vini precisi – e non credo Buratti se ne faccia un cruccio – sono piuttosto vini che chiedono d’essere bevuti senza tante storie, da non ritappare, da finire in fretta facendo disperdere nel vetro la bottiglia vuota; e poi sono vini che esprimono una vivacità, un’ energia ed una tensione che impedisce loro d’essere derubricati a semplici vini-bibita o a stranezza garagista. Sono invece vini semplicemente e sinceramente buoni, a tratti buonissimi, irrequieti a tratti isterici, a volte depressi, sempre con la scintilla, mai fermi, di certo vivi.  Un po’ come il loro creatore, anima in perenne movimento, mossa dall’inquietudine, da bersi d’un fiato senza farsi troppe domande.

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Giovanni Corazzol

Membro del Partito del progresso moderato nei limiti della legge sostiene da tempo che il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell'obbedienza.

6 Commenti

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Alberto R.

circa 9 anni fa - Link

Un bianco da moscato rosa? Sicuro che non è moscato giallo (detto fior d'arancio)?

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Giovanni Corazzol

circa 9 anni fa - Link

sicuro mai. il colore (ha ragione dovevo specificarlo) è salmone. in altre versione di Emma sicuramente c'era un saldo di moscato giallo, in questo caso non mi sembrava, ma potrei sbagliare. mi sto informando e specifico, grazie.

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Alberto R.

circa 9 anni fa - Link

Interessante, grazie!

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Giovanni Corazzol

circa 9 anni fa - Link

confermo che Emma è solo moscato rosa.

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Luca Miraglia

circa 9 anni fa - Link

Confermo in toto, sulla base della mia esperienza, il contenuto del post: se il mondo del vino è ancora bello (non tutto, ovviamente!), è per merito di personaggi come Marco, scoperto grazie all'intuito di Giovanni Bietti che gli ha dedicato un'intera scheda nel suo "Vini naturali d'Italia", e conosciuto poi in occasione di "Parlano i vignaioli" a Bari. Marco è palesemente il tipo che "una ne fa e cento ne pensa", fai fatica a seguirlo per quanti contenuti mette in quello che dice (alla velocità della luce, tra l'altro!), rimani spiazzato dai suoi vini, a cominciare dal modo di confezionarli: sono un caleidoscopio di emozioni, agli antipodi dai vini omologati, perfettini, piacioni, formalmente eleganti ma privi di contenuto. Le creature di Marco replicano l'essenza più pura del vino: stimolare la convivialità, l'allegria di una serata in compagnia (non a caso utilizza anche il formato "magnum", ma non ama chiamarlo così), l'amicizia, la sincerità di una pacca sulla spalla, e tanto altro!

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Hulk

circa 9 anni fa - Link

Grande Buratti, amico e folle vigneron!!!!

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