Emidio Pepe e la storica degustazione di Montepulciano d’Abruzzo (1967-2007) al Vinitaly 2014

Emidio Pepe e la storica degustazione di Montepulciano d’Abruzzo (1967-2007) al Vinitaly 2014

di Jacopo Cossater

Chiunque negli ultimi anni abbia frequentato le più importanti manifestazioni del vino si sarà sicuramente imbattuto in Pepe e nei suoi grandi Montepulciano (senza dimenticare il Trebbiano, il più ferreo degli sparring partner). Non solo i prodotti d’annata, anzi. È sempre con un pizzico di orgoglio infatti che la famiglia Pepe presenta bottiglie più o meno datate, vini che vengono portati con il preciso scopo non solo di far conoscere un catalogo che non ha eguali, almeno in Italia (sono infatti tutti vini acquistabili, seppur non ad un prezzo particolarmente accessibile), ma anche e soprattutto le potenzialità di un vino capace di affrontare il passare delle decadi come pochi altri.

Nonostante questo il Montepulciano d’Abruzzo di Emidio Pepe è sempre rimasto abbastanza periferico nelle conversazioni più mainstream sul vino. Chissà, forse è una caratteristica che gli appartiene naturalmente, quella di esprimersi senza mai urlare, senza volere necessariamente essere una voce solista. Ci è voluto quindi un appuntamento importante, quello del cinquantesimo anniversario dalla prima vendemmia, per rimanere da solo un attimo al centro della scena. Occasione è stata la presentazione dello splendido libro curato da Porthos Edizioni e da Sandro Sangiorgi con la collaborazione di Alice Colantonio e Matteo Gallello. Verona, Vinitaly, lo scorso 8 marzo. Della redazione di Intravino eravamo in tanti, era appuntamento evidentemente imperdibile non tanto per le sette bottiglie in degustazione quanto per la densità di significati che tale presentazione portava con sé. A narrare quei novanta minuti la penna più fine della redazione, quella di Emanuele Giannone.

Alla salute, Emidio Pepe. [jc]

Qualcuno potrebbe male interpretare l’agio e il silenzio di Emidio Pepe come olimpico distacco. Coram haustorum populo lui usa poco o nulla le parole, molto il sorriso, molto lo sguardo acuto che tutto segue e tutto sussume sotto le varie specie del finitimo, non dell’estraneo. Periscopico e penetrante. Sorriso e sguardo sembrano quelli di chi tanto ha visto e vissuto e del vedere e del vivere ha intuito simmetrie e scansioni, modi e modulazioni. Sorriso e sguardo sono segnali di una memoria coltivata. E come tali, pur non profusi in racconti e spiegazioni, significano senza sforzo emozioni sottese ai ricordi e ne enfatizzano persino l’intensità. Parole, quindi, solo quando piene e indispensabili. Il resto è delegato al gesto.

Chi ha partecipato alla festa di giubileo avrà colto nelle sette annate del Montepulciano d’Abruzzo di Emidio Pepe una simile tensione emozionale tra presente e passato, interpretata qui in sette tonalità e soprattutto in più ruoli, sceneggiata in modo affatto efficace: lui al centro, la sua eleganza signorile e composita, un compendio di distinta urbanità e bucolica disinvoltura; un von Karajan con il quid di südländisch, campestre e dionisiaco che il Maestro non ebbe mai. Intorno al Maestro von Pepe, l’estro armonico di tre delle sue donne, tre volte presenza, avvenenza e amore: per lui, per il lavoro suo, che è anche il loro. Per la quarta, che era assente, menzioni ed espressioni di gratitudine. Insieme a loro quattro anche il maestro di festa più titolato: Sandro Sangiorgi, autore e recente editore di un libro su Emidio, scritto con Emidio e per nostro diletto. Per noi che da lettori, spettatori o bevitori siamo all’altro capo della comunicazione, i vini e i volti e le pagine sono in perfetta consonanza: vettori o ripetitori di tensione emozionale.

I VINI

Montepulciano 1967
Solido e quieto, pressoché muto in principio. Primi cenni di ferro, fogliame, tabacco dolce e mallo di noce. L’insieme non perde di unità espressiva anche quando il liquido si distende e restituisce la terra in variazioni più esplicite (terriccio, creta, ruta, liquirizia) insieme a frutta disidratata e cola. Ciclico per le alternanze e riproposizioni delle note salienti, fine e vitale. Medesime virtù al palato: dinamica gestita dalla freschezza ancora vibrante, dalla dote sapida e da tannini indefessi. Sfuma su ruggine, spezie e rabarbaro candito. Autunnale, non caduco.

Montepulciano 1975
Una delle due bottiglie propone un vino più evoluto del precedente, buono ancorché nostalgico, fisso sul fascino della ricordanza: evoca la freschezza più nervosa, il frutto fresco e il suo succo, il ferro e i fiori amari come tracce che vanno affievolendosi. Note evolutive di senape in grani, cuoio, bollito, erbe macerate, sapone d’Aleppo, foglie secche, noce. Il sorso è suggestivo: a un filo solo, ma saldo, d’acidità, sale e ruggine si affida lo sviluppo, rendendo l’esiguità dell’energia e l’esilità dei sapori in finezza crepuscolare. Seconda bottiglia d’altra qualità per tono, definizione aromatica e intensità. Ma è toccata all’altra metà della sala.

Montepulciano 1985
Si torna a crescere. Fine, sottile e cangiante. Le sottigliezze spaziano dal bosco autunnale a miscele di tabacco dolce, dal camino al creosoto, dalla foglia di vite al pot-pourri di fiori amari. Vi si fondono erica, felce, ciliegia sotto spirito e salsedine. Sorso emozionante: è come sospeso tra la freschezza essenziale e una suggestione calda e matura, evoluta ma non banalmente vecchia. Sapidità infiltrante e morbida, contrappunto al giovanile e sorprendente acido-amaro del frutto (aronia, camemoro, moretta). Speziatura elegante (pepe rosa, tè nero, ginepro). Lunga persistenza di sale, cenni di miele amaro (corbezzolo), chinotto e frutta rossa disidratata in retrolfazione.

Montepulciano 1993
Ripercorre tema e tempo del precedente in tono minore: fiori passi, muschio, cenere e pelliccia attingono al fondo fresco e fruttato per trovare slancio. Dettagli di tè, terra e susina. La differenza maggiore rispetto al 1985 è nell’impatto al palato, più piano e disteso: la definizione aromatica integra una piacevole sequenza di spezie, tabacco dolce, muschio, rooibos e arancia sanguinella, lo sviluppo è regolare ma si affida a un sostegno acido più accomodante, così che dalla fase centrale il liquido cede in mordenza e presenza. Impronta minerale intatta, ed è lei a guidare terzo tempo e chiusura.

Montepulciano 2001
Frutto rosso e scuro in evidenza, matura e fragrante, insieme a un tratto organico e a quello pungente del geranio. Più in fondo ricordi di terra umida, muschio, corteccia e fieno greco. Impressione di spessore e calore che si chiarisce al palato: larghezza d’espressione, stratificazione aromatica, statura minerale e alcolica, tattilità pulsante. Un panosmìon quasi restio a svolgersi e che si fa più sondabile in progressione e soprattutto in via retrolfattiva: cenere, pruno, pelliccia, felce, papavero, tè, ferro, marasca, slivovica, chiodo di garofano, liquirizia. Caldo, non accalorato perché percorso da freschezza imponente; tannini potenti, percussivi. Un vino di grande libertà e ricchezza espressiva.

Montepulciano 2003
Al primo contatto l’impressione è pressoché la stessa – profondità, spessore – del 2001. Lo è anche per il riscontro delle note di frutto, integre e molto mature, qui tuttavia trattenute dalla massa inerziale maggiore. Note silvestri e organiche pronunciate. Cenni residui di fiori secchi, soia, caffè, pigna e cacao. Bocca vigorosa, densa, infusa di sale e calore. Frutta in composta (ciliegia, prugna, mora), felce, pain d’épices, un composito e nobile fondo vegetale. Molto incisivi i tannini. Progressione regolare ma più contratta rispetto al 2001: ciò che invita a un appuntamento di qui a qualche anno, per accertare se di tensione e allungo naturalmente minori si tratti, oppure di un potenziale ancora di là da esprimersi compiutamente.

Montepulciano 2007
Trattandosi d’abruzzese, ancorché non marsicano, e considerandone mole, movenze e modi, per non dire d’un che di silvestre e belluino nell’aspetto e nell’olfatto; considerandone altresì la forza, che è tensione ancora irrisolta e pressione ancora incolta; considerando infine il sentimento incerto tra l’affetto e lo sgomento che questa creatura, vera forza della natura, mi ispira; ebbene, tutto considerato penso che i migliori descrittori siano enàrcto e la sua variante vinùrside. Un orso di vino, insomma. Abruzzese ancora assai più forte che gentile, egli necessita di tempo e lunghi riposi. Una promessa (un bramito).

Emanuele Giannone

[Foto: Alessandro Morichetti]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

4 Commenti

avatar

Francesco P

circa 10 anni fa - Link

magnifica la descrizione sul silenzio di Emidio Pepe

Rispondi
avatar

Adriano Aiello

circa 10 anni fa - Link

Grande verticale. Personalmente il miglior momento dell'ultimo Vinitaly

Rispondi
avatar

biotipo

circa 10 anni fa - Link

il 1983 è uno dei migliori vini che io abbia mai bevuto (nel 2011), niente da invidiare a uno chambertin

Rispondi
avatar

dante

circa 9 anni fa - Link

inutili commenti ad un capolavoro,della terra; dal quale sapienti capacità artigiane hanno contribuito ad esaltare l'annata del 1967.....sto' assaporando questo nettare,mentre scrivo... sicuramente il dio"Bacco" mi contattera' per unirsi a degustare con i suoi ospiti.. le dieci bottiglie che custodisco gelosamente.complimenti...

Rispondi

Commenta

Rispondi a dante or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.