Eliogabalo, l’imperatore anarchico che inventò il vino aromatizzato al gusto chewing-gum (menta)

di Pietro Stara

Nessun imperatore romano, al pari di Eliogabalo, salito al trono a 14 anni e morto a 19 (20 marzo 203 – Roma, 11 marzo 222), ebbe giudizi storici tanto discordi: il fascismo lo rappresentò come l’emblema della corruzione e della decrepitezza dell’Impero, un depravato “nutrito del molle e osceno culto di Mitra”. Dall’altra parte vi è la versione che prediligo, l’anarchico incoronato, ovvero l’Eliogabalo di Antonin Artaud: “Egli può dare alle abitudini e ai costumi romani tutti gli storcimenti che vorrà, gettar la toga romana alle ortiche, indossare la porpora fenicia, dare quell’esempio di anarchia che consiste, per un imperatore romano, nel prendere il vestito di un altro paese, e per un uomo indossare abiti femminili, coprirsi di pietre, perle, pennacchi, coralli e talismani… Eliogabalo ha intrapreso una demoralizzazione sistematica e allegra dello spirito e della coscienza latini; e avrebbe spinto all’estremo questa sovversione del mondo latino se avesse potuto vivere abbastanza a lungo per condurla a buon fine… [1].”

Dopotutto la sua fine oscena, ammazzato in una latrina e gettato in una fogna troppo stretta per ricevere il suo corpo, e quindi trascinato attraverso il Circo per poi essere gettato dal ponte Emilio nel Tevere con un peso attaccato al corpo in  modo che non potesse né riemergere, né avere una sepoltura, ci racconta un po’ della sua vita dissoluta: le sue perversioni riuscivano esagerate persino alle menti più lincenziose.

Aelius Lampridius, uno che di lui non avrebbe mai voluto parlare, a cui è attribuita la Historia Augusta [2], riferisce delle gesta dell’imperatore e ci rimanda preziose informazioni, forse tanto improbabili quanto molto vicine al vero, sui suoi esagerati baccanali. Ecco un estratto.

“Primo fra tutti i privati allestì divani con torali d’oro, e così da allora è stato lecito fare ciò, in virtù dell’autorità di Antonino Marco, che aveva celebrato pubblicamente tutta quella magnificenza imperatoria. Quindi offrì conviti estivi variamente colorati, un giorno di colore verde, un altro vitreo, un altro ancora azzurro, variando sempre per tutti i giorni dell’estate. Per primo ancora ebbe fornacelle d’argento, per primo anche pentole, poi vasi centenari d’argento, scolpiti e deturpati con vergognosissime figure.

Il resinoso, l’aromatizzato alla menta e tutto quello che ritiene lussuria, per primo adottò. E anche il vino rosato, ricevuto da altri, rese più odoroso con strofinamento di essenze di pino. Di tutto questo genere di bevande, prima di Eliogabalo non se ne scriveva. Né alcun altro genere di vita per lui era interessante se non ricercare nuove voluttà. Per primo fece involtini di pesce, ostriche, litostrei e altri mùrici marine di questa razza, nonché di gamberi, gamberetti e scille [cipolle marine]. Cosparse di rose triclini, letti, nonché i portici per i quali passeggiava; e anche con ogni altro genere di fiori, come gigli, viole, giacinti e narcisi. Non nuotava nelle piscine se non con nobile profumo e dopo averle profumate con zafferano. Né facilmente si sdraiò su divani che non avessero pelo leporino o piume subalari di pernici, e spesso mutando cuscini. Si fece servire spesso, a imitazione di Apicio, talloni di cammelli, creste strappate da polli vivi, lingue di pavoni e di usignoli, perché si diceva che mangiasse così per essere sicuro dalla peste. Faceva servire agli ufficiali di Palazzo piatti enormi riempiti di visceri di muli, cervello di fenicotteri, uova di pernice, cervelli di tordi, teste di pappagalli, di fagiani e di pavoni. Faceva esibire tante barbe di triglie [triglia = mullus barbatus], in sì gran quantità che le esibiva in guisa di crescioni, sedani, fagioli e fieno greco, in vasi e piatti, tutti pieni. Il che era veramente stupendo. Mescolò l’acqua di piscine e tinozze con vino rosato e aromatizzato [con assenzio?]. Invitò il popolo a bere ed egli stesso tanto bevve assieme a loro, che si riteneva che egli abitualmente bevesse in piscina, avendolo già visto una volta bere così. Diede ai convitati, come doni da portare via con sé, eunuchi, quadrighe, cavalli abbattuti, muli, lettighe e carrozze, e pure oro e argento in quantità [fonte].”

Come oramai è dato sapere il vino romano è un vino anche, e soprattutto, aromatizzato. Ciò che fa il nostro amato anarco-imperatore è quello di introdurre, per la prima volta, il vino gusto menta grazie alla resina del lentisco, piccola pianta simile all’olivo, rinomata nell’isola di Chio, e conosciuta in greco moderno come màstika e in italiano come mastice. Quest’antica gomma, usata dalle donne nell’harem del sultano per profumarsi l’alito, è l’antesignano del nostro moderno chewing-gum. Qualche secolo più tardi, nel 1474, pure il giovane Cristoforo Colombo, giunto sulle coste di Chio (proprietà dei Genovesi), s’innamorò di questa resina: “Qui si trova pure in abbondanza legno d’aloe, per quanto non sia cosa da tenerne gran conto, ma quanto alla resina del lentisco, essa è di gran pregio perché non se ne trova che nella predetta isola di Scio, ove credo, se la memoria non m’inganna, che ne ricavino per un valore di 50.000 ducati [fonte, in pdf].” Naturalmente si sbagliò, ma a noi piace immaginarlo mentre torna a casa, col vento in poppa, divertirsi a fare bolle grandi come quelle dei big babol.

[1] Antonin Artaud, Eliogabalo o l’anarchico incoronato, Milano, Adelphi, 1991

[2] Opera «sin¬golarissima e misteriosissima», secondo la definizione dell’ultimo editore italiano; basti ricordare che ci sono dubbi sulla paternità, sulla data e sul suo significato. Quanto all’autore, è stata a lungo discussa la tradizionale attribuzione a Elio Lampridio; per diversi motivi (incongruenze interne, citazioni dello storico Aurelio Vittore, vissuto intorno al 360 d.C.) si è giunti alla conclusione che ci troviamo comunque di fronte all’opera di un solo autore, sia che si tratti della rielaborazione di opere antecedenti, o di una vera e propria falsificazione parodistica, databile probabilmente intorno alla fine del IV sec. In Francesco Citti Lucia Pasetti Un rifiuto della storia: Eliogabalo, l’imperatore che morì nella cloaca in http://www.griseldaonline.it/temi/rifiuti-scarti-esuberi/un-rifiuto-della-storia-eliogabalo-citti-pasetti.html

Immagine: Wikipedia.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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