E se rottamassimo i degustatori con i superpoteri?

di Maurizio Gily

Che esistano degustatori con doti naturali superiori alla media non vi è dubbio. Sono doti di diversa natura: genetiche, riguardano i recettori olfattivi e gustativi ma anche zone più interne del sistema nervoso, quelle legate alla memoria; poi ci sono aspetti più culturali, l’educazione del gusto, la ricchezza e la capacità di linguaggio. Infatti il “giudizio organolettico” è frutto di un processo che comprende, schematicamente, tre fasi: la percezione attraverso gli organi di senso, la trasmissione del segnale al cervello e la sua elaborazione “culturale”. Per fare un esempio, un bambino spesso rifiuta un gusto amaro, o l’odore di un alimento non fresco, che ha subito trasformazioni ossidative e/o proteolitiche, come il gorgonzola o lo stoccafisso. Potrebbe trattarsi di un meccanismo di difesa dell’organismo che lo mette al riparo da alimenti avariati che potrebbero nuocergli (l’amaro nel latte è frutto di una deviazione batterica, che però non è considerata tale in alcuni formaggi). Con il tempo impariamo ad apprezzare sapori e gusti più “evoluti” come questi, grazie all’assuefazione, ad un progressivo cambiamento dell’alimentazione e alla mediazione culturale. Sentori che un degustatore di vino professionale considera deviazioni altri commentatori, soprattutto nel variopinto mondo dei “blog”, sono disposti ad accettarli, se non addirittura ad apprezzarli, come segnali di distinzione, di genuinità, addirittura di “territorialità”. Come dicevano gli antichi, de gustibus non est disputandum. Allo stesso modo gli odori classificati “di ridotto” in un vino sarebbero, secondo uno studio australiano, meglio accetti dagli “esperti” che non dal consumatore medio. Il che ha una certa importanza, ad esempio, per la scelta del tipo di chiusura.

Per quanto riguarda le doti genetiche, una classificazione americana divide la popolazione in tre categorie: supertaster, normal taster e non taster. Il 50% percento della popolazione apparterrebbe alla categoria mediana, mentre le altre due categorie raccoglierebbero rispettivamente il 25%. Le donne hanno capacità percettive di norma superiori agli uomini. Questa classificazione si basa in particolare sulla percezione di uno dei gusti fondamentali, l’amaro. Si è utilizzata una sostanza indice, Il propiltiouracile (PROP), misurandone la percezione a dosi crescenti in una soluzione. L’attitudine sviluppata alla percezione dell’amaro (ma non solo di esso) sarebbe legata alla densità delle papille fungiformi sulla lingua.

Sulla base di tali considerazioni dovremmo concludere che chi ama i vini “importanti”, quindi ricchi di tannini, che hanno una nota amara nel sapore, non sono “supertaster”. Una conclusione paradossale.

“Rottamare” i degustatori?
L’esperienza di un degustatore, che abbia assaggiato diverse migliaia di vini, non ha influenza sulla sensibilità dei recettori, che è di natura genetica, mentre ne ha, ovviamente, sulla sua formazione “culturale”, sull’evoluzione del suo gusto e sull’allenamento della memoria e del linguaggio. Inoltre le facoltà recettive diminuiscono con l’età, in modo lento e progressivo, più o meno a partire dai cinquanta anni, accelerando dopo i sessanta, non diversamente da quanto avviene con la vista, con l’udito e con la memoria. La cosa varia a seconda degli individui e la pratica assidua prolunga le attitudini nel tempo: nondimeno per chi, come me, i cinquanta li ha passati si tratta di una verità piuttosto seccante… In un panel l’esperienza di qualche degustatore più anziano è sicuramente utile, ma bisogna fare largo ai giovani e soprattutto alle donne, che hanno un naso migliore del nostro e un palato più sensibile. Esistono test statistici di valutazione dei giudici, che si possono trovare nei manuali di analisi sensoriale. Da farsi, eventualmente, a loro insaputa.

Supernasi
Non sono un “master of wine” e non mi ritengo un degustatore di particolare abilità anche se ho avuto l’onore di far parte di commissioni internazionali molto prestigiose, come quelle di Radici del Sud e del concorso internazionale di Sydney. Forse non ne avevo la qualifica: trovo infatti difficile indicare più di tre o quattro descrittori olfattivi in un vino, a meno che non si tratti di vini di straordinaria complessità. Sicuramente ci sono persone in grado di rilevarne e di descriverne di più. A parte il fatto che i descrittori analogici (banana, fiori bianchi etc.) raramente corrispondono esattamente alle molecole che si trovano nella materia che si usa come termine di paragone, sono anche convinto che nelle descrizioni molto articolate che si ascoltano o si leggono ci sia spesso un gran lavoro di fantasia: più per autosuggestione che per malafede. Fino ad arrivare alle iperboli barocche di certi “wine writer”, degne di un Cyrano de Bergerac, che infatti, non a caso, aveva un gran bel “pennacchio”.

Ma quando si passa dalle parole alla realtà di parametri misurabili molte cose cambiano. Degustando, per esempio, un Barolo, la pretesa di riconoscere, in un crescente scala di difficoltà, la botte grande o piccola, nuova o usata, la presenza di vitigni diversi dal Nebbiolo, anche in minime percentuali, il produttore, l’annata, il cru di provenienza, l’uso o meno di lieviti selezionati o addirittura il ceppo di lievito, il fornitore delle botti o altri particolari sempre più specifici è destinata ad assicurare a chiunque, o quasi, un brutta figura in una qualunque degustazione cieca, cioè senza aver prima visto l’etichetta. Questo spiega perché le degustazioni cieche, e in generale le tecniche di analisi sensoriale, siano in genere amate da commentatori e blogger in proporzione inversa alla loro autostima. Sulle previsioni relative alla parabola qualitativa nel tempo, del tipo “bevetelo tra 10 anni, tra 5 anni, tra 25 anni”, si può dire quello che si vuole tanto nessuno se ne ricorderà, ma naturalmente è un esercizio più che lecito e quelli bravi in questo caso non sbagliano di molto.
In effetti l’enologo Michel Rolland lo ha detto chiaro e tondo: se vuoi fare bella figura, in una degustazione cieca, stai zitto.
Ipse dixit.

21 Commenti

avatar

Rossofransa

circa 11 anni fa - Link

Bel post, complimenti !!! Più passa il tempo e più apprezzo le persone che in poche parole sanno cogliere l'anima del vino, senza voler impressionare. L'autosuggestione in buona fede dal un lato o il vero e proprio narcisismo dall'altro,possono essere, talvolta, sconfinati. Se poi si vuol fare del teatro ben venga la prosa maroniana et simili, magari riesce a strappare un sorriso ;) saluti

Rispondi
avatar

AG

circa 11 anni fa - Link

E abbasso Luca Gardini!

Rispondi
avatar

Davide Tanganelli

circa 11 anni fa - Link

Per quanto riguarda gli aspetti "genetici" vengono fornite nell'articolo infornazioni con un pò troppa *certezza*. In passato analizzai l'argomento per altri contesti e mi prendo un pò di tempo per replicare su basi scientifiche ove la certezza non c'è

Rispondi
avatar

Davide Tanganelli

circa 11 anni fa - Link

Non vorrei essere frainteso...sul senso dell'articolo concordo al 100%

Rispondi
avatar

Tommaso Farina

circa 11 anni fa - Link

Mitico Maurizio.

Rispondi
avatar

Sir Panzy

circa 11 anni fa - Link

Davvero un bel post. Complimenti!

Rispondi
avatar

bacillus

circa 11 anni fa - Link

Bravo Maurizio. Sottoscrivo tutto.

Rispondi
avatar

giulo

circa 11 anni fa - Link

si potrebbe definire una nuova figura "professionale": il degustatore mannaro... :-)

Rispondi
avatar

Carlo Cleri

circa 11 anni fa - Link

Mi ricorderò sempre la prima lezione del master of wine col grande Valerio Chiarini. Eravamo tutti in silenzio, concentratissimi a sentire quali profumi potesse cogliere il suo naso sopraffino in quel bicchiere di montepulciano. E lui: "Frutti rossi... raccolti la mattina presto... tra le sei e le sette... da una vergine ignuda appena scesa da cavallo....sniff....sniff... ed era piovuto da poco!" Fu una grande lezione.

Rispondi
avatar

Carlo Cleri

circa 11 anni fa - Link

PS Complimenti Maurizio: grandissimo post!

Rispondi
avatar

aldo cannoletta

circa 11 anni fa - Link

Pero' per carità di patria o per evitare polemiche personali,ha evitato con somma cura ovvie conclusioni e omesso anche le possibili variabili dipendenti,poi come diceva "pittordo",se non ci credete andate a provare. Il riferimento riguarda l'ultima parte dell'articolo.

Rispondi

Tomaso Armento

circa 11 anni fa - Link

Al solito Maurizio, un piacere leggerti. A presto!

Rispondi
avatar

dva45

circa 11 anni fa - Link

questo post merita una "ola" da stadio olimpico!!! Complimenti

Rispondi
avatar

Stefania

circa 11 anni fa - Link

"Questo spiega perché le degustazioni cieche, e in generale le tecniche di analisi sensoriale, siano in genere amate da commentatori e blogger in proporzione inversa alla loro autostima" Ci si dimentica a volte la componente psicologica che incide, non poco, sull'assaggio. Perchè se quel giorno sei scazzato/euforico/triste di fatto le tue percezioni ne sono (in parte) l'espressione. Questo la dice lunga sul valore dei giudizi monocratici.

Rispondi
avatar

Roberto Gatti

circa 11 anni fa - Link

Ho visto " super esperti " dell'ultima ora, prendere delle botte sui denti.....con delle figure barbine....molto meglio astenersi come insegna Rolland ! Alla cieca....alla cieca....il bello è tutto li'. Non posso raccontare certe esperienze a cui ho assistito personalmente perchè siamo in pubblico, ma privatamente le racconto eccome :)

Rispondi
avatar

Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Non ho capito se è meglio tacere per evitare brutte figure, oppure pronunciarsi e dimostrare comunque autostima. Sia come sia, io considero il vino un prodotto culturale, quindi la critica del vino un affare di estetica. Come non voglio sapere se un critico dell'arte abbia 11/10 di vista per essere rincuorato circa le sue competenze, così non mi interessa in alcun modo sapere che la nota di degustazione che sto leggendo l'abbia scritta un supertaster. Figuriamoci se mi importa poi che quel sentore che somiglia così sfacciatamente all'iris dentro il mio bicchiere di Chablis Les Clos 2000 di Dauvissat sia dovuto proprio alla stessa molecola che dà al fiore il suo odore, oppure ad un'altra diversa. Per me il gioco è un altro, e nella grande massa di testimonianze più o meno professionali che può capitare di leggere oggi sui vari media, da quelli più tradizionali a quelli più innovativi, la mia vaglia si riduce a distinguere chi vive il vino come un gioco di ruolo in cui il divertimento sta nell'impersonare il critico di professione, simulandone gli atteggiamenti, pericolose sbruffonate alla cieca comprese, da chi invece il vino lo comprende davvero nel profondo e mi permette, ascoltandolo o leggendone il racconto, di aumentare la mia comprensione del fenomeno vino, di arricchire la mia esperienza del bere. Mi sono accorto presto che non è una cosa così difficile. Come minimo, ognuno finisce per concedere credito magari non al più capace, ma almeno a chi meglio soddisfa le sue aspettative di fruizione della parte sociale chiusa dentro il gesto di bere vino di qualità. In realtà entrambi i due tipi di "super-degustatori" sono utilissimi e per conto mio vanno preservati come il panda gigante, altro che rottamati: i primi perché sono divertenti (di qualcuno si dovrà pur ridere, in un mondo tanto tristo), i secondi perché sono il reagente che svela la vera potenza che il vino dissimula agli occhi più superficiali sotto la forza bruta dell'alcol. Il bello del vino sono loro, ancora più del vino stesso. Il vino non servirebbe a niente, se non si sapesse con chi condividerne le qualità. Come i soldi di Renato Zero: la vera malattia è la noia e non la necessità di bere una bevanda moderatamente alcolica e variamente dotata di un certo set organolettico; la vera cura sono il cavatappi prima e la parola dopo, non il vino in sé.

Rispondi
avatar

armin kobler

circa 11 anni fa - Link

finalmente un po' di lume! da uno che nella sua esperienza professionale precedente si è occupato di analisi sensoriale in un centro sperimentale e che adesso cerca di trasportare nell'attuale vita di vignaiolo le esperienze acquisite non posso che condividere appieno il contenuto del post. contrariamente a qualche commentatore comunque sono dell'opinione che non è indifferente sapere a quale molecola corrispondono i sentori caratterizzanti un specifico vino. capendo da cosa sono determinati serve nella valutazione di pratiche viticole ed enologiche esistenti e nello sviluppo di nuove tecniche. inoltre aiuta in modo significativo nella formazione di panel di degustazione permettendo l'addestramento con sentori univoci. infine sono dell'opinione che anche per chi opera fuori dal contesto scientifico e professionale qualche duo-trio-test (cito uno dei più semplici da usare) ogni tanto farebbe molto bene per vedere le vere differenze tra diversi campioni e, non ultimo, per ritornare con i piedi per terra.

Rispondi
avatar

andreapr

circa 11 anni fa - Link

"sono anche convinto che nelle descrizioni molto articolate che si ascoltano o si leggono ci sia spesso un gran lavoro di fantasia" ...maddai!!!!! :-D

Rispondi
avatar

Lakisha Nielsen

circa 11 anni fa - Link

Qualche post fa, avallato da molti illustri pareri, avevo espresso forti dubbi circa il successo commerciale del vino dealcolato sottolineando il fatto che, perdendo parte delle sue fondamentali caratteristiche, si trasformava in un qualcosa di diverso, ad una bevanda e come tale doveva esser trattato.

Rispondi
avatar

vincenz

circa 11 anni fa - Link

Un articolo interessante che ti fa capire come è bene stare molto attenti quando leggi una degustazione.Non bersi tutto qello che viene scritto.E non dimenticare mai,che dietro a certe parole vi "può essere" un interesse economico che guida le papille.

Rispondi

Commenta

Rispondi a aldo cannoletta or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.