Digiuno 2.0 e astinenza vaticana. Perché la Conferenza Episcopale è pur sempre Italiana

di Pietro Stara

Per ogni bevitore seriale che si rispetti arriva, di tanto in tanto, una forma di sospensione temporanea dalle bevande a tenore alcolico che dovrebbe avere funzioni di ripristino delle condizioni psicofisiche: alcuni la chiamano dieta. La famiglia e i parenti tutti hanno, di solito, il compito precipuo di produrre delle accelerazioni nella scelta: “Tira un po’giù quella pancia!”

Dal punto di vista idraulico lo stato psicofisico del bevitore seriale corrisponde al “troppo pieno” delle cisterne per la raccolta dell’acqua: quando il limite viene superato, il bevitore seriale annuncia, Urbi et Orbi, il proprio sacrificio ascetico. Dopo averlo comunicato alla parentela più stretta, di solito in forma orale, il bevitore seriale utilizza quasi tutti i sistemi di comunicazione moderna per annunciare l’evento. La finalità dell’evidenza pubblica dell’atto di astinenza momentanea si può racchiudere in alcuni concetti tra loro collimanti:

1. Assicurare il pubblico della presunta veridicità dell’accadimento. La forma sociale della comunicazione produce, secondo l’astinente, delle pratiche di controllo mediatico a distanza.
2. Creare forme di solidarietà reciproca tra astinenti, finalizzate alla tenuta del sacrificio per un tempo congruo alla cancellazione dei radi sensi di colpa.
3. Mostrare istericamente il proprio lutto, come si addice all’uomo risentito.

La dieta alcolica si configura pertanto come ascesi intramondana temporanea passibile di eccezioni coordinate e continuative. In un certo senso è proprio nell’eccezione che ci riscopriamo abitanti del suolo italico, impaludati come siamo negli anfratti di norme che si sono rese sempre più interpretabili. Neanche più la temuta dottrina cattolica è in grado di consegnarci un’astinenza tutta di un pezzo. Leggo, infatti, che le direttive della Conferenza Episcopale Italiana (cardinal Ruini in persona, anno 1994), in merito al digiuno e l’astinenza, prevedono una serie di regole che confermerebbero le eccezioni. Ne riporto soltanto tre, quelle che mi sono piaciute di più:

 1. La legge del digiuno obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate.

2. La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.

6. Dall’osservanza dell’obbligo della legge del digiuno e dell’astinenza può scusare una ragione giusta, come ad esempio la salute. Inoltre, “il parroco, per una giusta causa e conforme alle disposizioni  del Vescovo diocesano, può concedere la dispensa dall’obbligo di osservare il giorno (…) di penitenza, oppure commutarlo in altre opere pie; lo stesso può anche il Superiore di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, se sono clericali di diritto pontificio, relativamente ai propri sudditi e agli altri che vivono giorno e notte nella loro casa.[1]”»

Adesso, con estrema serenità d’animo, posso riprendere a bere.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

1 Commento

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Federico

circa 10 anni fa - Link

Vulpem pilum mutare, non mores.

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