Della morte e resurrezione dei blog (segnatamente wineblog) e della prevalenza del permalink

Della morte e resurrezione dei blog (segnatamente wineblog) e della prevalenza del permalink

di Alessandro Morichetti

Post di Fiorenzo Sartore inizialmente pubblicato su Diario Enotecario ma troppo bello per non essere rilanciato. Una lettura significativa per chi abbia a che fare con qualsiasi forma di blog, social media e qualsiasi altra diavoleria comunicativa contemporanea. A margine, un paio di commenti sensati comparsi di là (grassetti miei). [a.m.]

Ci sono settori che assecondano i flussi tecnologici con qualche ritardo. Il mondo del vino pare uno di questi. Quando lo strumento del blogging era un fatto maturo, a metà degli anni duemila, è arrivato da noi. Non so come mai nel nostro giro ci sia questa specie di delta nello spaziotempo per cui tutto accade un po’ dopo, probabilmente dipende dal fatto che chi fa vino è più o meno un contadino e ha poco tempo. Comunque sia, dopo la fase di innamoramento per la piattaforma comunicativa bloggish, sono arrivati anche i social network (quasi unicamente Facebook) e gran parte delle conversazioni sono migrate di là. Al punto che adesso le reti sociali servono anche a rilanciare il concetto che il blog, ossia il wine blogging, è morto, o moribondo.

Anche questa coscienza arriva tardi. Fuori dal nostro giro ci si rende conto che non solo le reti sociali non sostituiscono decentemente le conversazioni via blog, ma finiscono per essere una ambiente peggiore sul piano dell’utilità. E’ quindi alquanto affrettato, e probabilmente nemmeno raccomandabile, dire che il (wine) blogging è morto. La blogosfera, fuori dal quartiere eno, ha passato la prova dei social in quanto concorrenti e ne è uscita migliorata, meno affollata di prima, e (credo) con un bel po’ di rumore di fondo in meno. Spiace dirlo, ma io trovo che il chiasso risieda stabilmente su Facebook. Le reti sociali hanno in un certo senso migliorato i blog, aiutando gli autori a focalizzarsi sugli aspetti di rilevanza e utilità della piattaforma.

Per segnalare un punto di vantaggio del blog sulla rete sociale cito ad esempio un fatto recente. Seguivo una conversazione di grande interesse su Facebook, dove un argomento posto da un produttore di vino di importanza nazionale aveva provocato prese di posizione e interventi di rilievo: l’essenza delle conversazioni online, cioè. La lettura è continuata qualche giorno, poi anche gli alert della piattaforma non mi hanno più avvertito circa nuove interazioni. Ben presto la conversazione ha rivelato il destino comune ad ogni altra, su quel social network: era destinata ad essere perduta, perché la timeline su Facebook è appunto un (pescosissimo) fiume che scorre col tempo, noi lo seguiamo, peschiamo un bel po’ di cose, ma inevitabilmente finiamo per lasciarci dietro il flusso trascorso.

La volatilità dei dati su Facebook è probabilmente il male peggiore. Le conversazioni che avvengono lì sono difficilmente rintracciabili, o perlomeno richiedono smanettamenti infiniti e non sempre efficaci. Twitter è afflitto dallo stesso problema, tranne per i tweet salvati nei possibili storify della comunità quando le conversazioni raggiungono un livello di rilevanza molto alto. (Non ho esperienza di ricerche di conversazioni su Linkedin e nemmeno ci tengo, confesso). Insomma, sui social va così quando, invece, io sono in grado di rintracciare e linkare in qualunque momento un post scritto dieci anni fa. Basta Google, per ottenere il risultato. A confronto, una conversazione di due anni fa su Twitter è a rischio vaporizzazione.

A costo di apparire ora come qualcuno che è convinto di comporre scritti fondamentali, io credo che chi si cimenta nella comunicazione autoprodotta farebbe bene a darsi un sistema, ed un ambiente, in grado di rendere fruibili quei contenuti nel tempo. L’ambiente a cui affidare quei contenuti non è Facebook, non sono le reti sociali, ma sono i cari vecchi blog, con la loro prevalenza del permalink. A meno che l’interesse di chi scrive su Facebook non sia quello, appunto, di attirare l’attenzione su un fatto che nel giro di poche ore si affianca a molti altri, e nel giro di pochi giorni svanisce.

Quanto a me, mi auguro che passi rapidamente l’attuale fase de “il wine blogging è morto”, affinché ci si renda bene conto, come succede fuori di qui, che il bloggare ha un senso, quando compone e rilancia elementi rilevanti. Per il cazzeggio invece sembra più adatto Facebook – il che va benissimo, ma: mica si può cazzeggiare tutto il giorno. E lo dico in quanto heavy user di Facebook.

Fiorenzo Sartore

Commento di Tyrser:
E’ una tendenza che si vede soprattutto nel numero di commenti in continua decrescita. La ggente condivide e chiacchera su FB mentre lurka le foto al mare della collega e stalka la fidanzata in trasferta lavorativa.
Chi fa dell’ADV una risorsa primaria tenta in tutti i modi di veicolare click dai social alle proprie pagine, con modi anche poco carini.
Facebook è come il bar: al bancone arriva X e dice una roba e parte una discussione che muore nei fondi del caffè. Diverso è chi si siede e sfoglia un quotidiano. Non è detto che le sue notizie siano più vere ma almeno ha fatto uno sforzo di interesse. Anni fa se per chiamare uno dovevi trovare una cabina gli dicevi solo cosi per te importanti. Ora coi cellulari puoi chiamarlo anche solo per ammazzare il tempo. Quantità vs Qualità. Ma la filosofia lasciamola a chi non beve ;-)

Commento “pippozzo” di Filippo Ronco:
I permalink ci sono anche su fb, solo che (ancora) non hanno un motore di ricerca interno per i contenuti. Immagino gli servirebbe una struttura analoga a quella che già hanno per poter gestire una cosa del genere da qui l’inevitabile oblio dello scritto allo stato attuale.

Mi sento di sottoscrivere ogni riga di Tyrser. La soglia di attenzione e approfondimento con fb e twitter è scesa moltissimo negli ultimi anni. Prendete la vostra semplice esperienza di navigazione quotidiana, leggete tutto come nel 2005-2007 oppure anche voi andate un filo più di corsa. Consultate ancora così avidamente il feed reader o vi accorgete delle cose più da fb e da twitter? Io ammetto che da quando uso twitter in modo intensivo non uso quasi più il feedreader (che già allora – sia pur senza commenti – aveva creato una certa emorragia di letture dai siti originali ai reader appunto aprendo anchela vetusta quaestio sul tenere o meno i feed dei post integrali o limitati nel testo), ricordate?

Il fatto è che la gente è pigra e in genere usa la soluzione migliore (per essa e in quel momento) per interagire con un contenuto. Su fb si fa molto presto a mettere un mi piace che non impegna e fa vedere che ci sei tanto che una delle malattie più gravi e pandemiche del terzo millennio è la sindrome dello stupido picchio. E’ già più impegnativo condividere, apportare un pizzico di valore, infatti l’uso del bottone share è infinitamente più scarso (lo dico sempre, meno like, più share se ti piace una cosa). Poi vabbè, cani e gatti quasi soffocano la poca aria già irrespirabile per la quantità di rumore assordante proveniente da ogni dove.

La realtà è che fb ci sta sui coglioni perché ci ha tolto traffico (e soldi) e nel contempo però ipocritamente lo utilizziamo a man bassa per riprenderci quel traffico che crediamo ci spetti, un loop autodistruttivo senza ritorno. Per veicolare link è meglio twitter a mio avviso (anche se certo non è e non deve esser solo quello e anche se pure twitter non sta molto bene) ma se porti scientemente una discussione che hai maturato sul tuo sito su fb, sai già che la conversazione al 90% avverrà più lì che là. A questo punto la domanda è: ti interessa di più la conversazione (e allora non importa dove essa avviene) o il fatto che si svolga sul tuo sito perché così ti remunerà un poco in pubblicità (e questo ci interessa moltissimo visto che ci facciamo il culo a creare contenuti di valore)? Come al solito la risposta sarà: “dipende”. Il brand lo costruisci ovunque, non serve che tu lo faccia dal tuo sito aziendale, conta quello che fai e che dici, conta come lo fai e lo dici, non dove lo dici. Diverso per chi deve campare di scrittura. Bisognerebbe essere coerenti avere le palle d’acciaio e togliersi da fb così che se uno ti vuole leggere deve per forza seguirti dove decidi tu. Sono strade da valutare, nessuna giusta o sbagliata, ciascuna con le sue conseguenze imprevedibili.

Il wine blogging non è morto e fb senza contenuti originali sarebbe un enorme zoo per gatti e cani eccentrici. Credo che come avviene per tutte le cose un giorno la ggente di stuferà di fb o per lo meno arriverà a comprendere che la rete non è identificabile solo con questo monolite blu. Il valore che si crea fuori da fb è ancora enorme e capace, per questo, di resistere nel tempo, non segue un modello di business, sempliemente porta o non porta valore e su questo parametro viene valutato, apprezzato, condiviso o non condiviso.

Andiamo verso (anzi ci siamo già abbastanza dentro) l’internet delle cose. Una roba infinitamente più grande di fb. La rete è come l’universo, è capace di portarsi via in un nanosecondo anche una supernova come fb, semplicemente perché lo contiene e in un microscopico angolino del suo infinito spazio.

[Fonte: Diario Enotecario. Foto cover: Traveling Wine Chick]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

14 Commenti

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Gabriele Rosso

circa 10 anni fa - Link

Facebook è diventato una sorta di "trappola" per chi cerca ci creare contenuti di qualità. Perché il passaggio dalle sue parti è obbligato (se non ci sei non esisti, o quasi), però allo stesso tempo non porta a blog e siti visite di qualità (o perlomeno ne porta poche). Facebook ha strappato naviganti al resto della Rete: prima l'utente cercava in modo autonomo ciò che gli interessava, e quindi smanettando letteralmente navigava, esplorava, rimbalzava da un blog/sito all'altro; ora l'utente (il sottoscritto compreso) cazzeggia sui social e ne esce "a spot", facendo puntatine qua e là senza più criteri precisi, attirato da chissà cosa. La soluzione, per chi cerca di vivere professionalmente in Rete, non sta nell'essere pro-FB o anti-FB. Piuttosto, sarebbe meglio interrogarsi più a fondo e comprendere meglio i comportamenti di navigazione del pubblico a cui ci si rivolge. Forse il grimaldello per scardinare ciò che non ci piace sta proprio lì dentro.

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stefano bonilli

circa 10 anni fa - Link

Dovete venire a Bologna il 20-21 settembre a AlmaMBA Università di Bologna al convegno sulla Nuova Editoria Digitale - e i blog ci sono dentro con tutte le scarpe - a parlare di vino.

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Alessandro Morichetti

circa 10 anni fa - Link

Segna 2-3 accrediti e come relatore: Fiorenzo Sartore (Intravino). Grazie (e trova un posto decente per la cena ;-))

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Possiamo fare 3-4 accrediti? (Alessandro, che rapa di caporedattore sei? E chiedi un accredito di gruppo, no? Pensi anche alla nostra, oltre che alla tua crescita intellettuale? Oppure per noi non ammetti altra evoluzione intellettuale da quella ottriata?)

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Francesca Ciancio

circa 10 anni fa - Link

Pare che a breve vi sarà il tasto "salva" su Facebook . Credo voglia essere un tentativo di lungimiranza

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Nelle Nuvole

circa 10 anni fa - Link

Il wine blogging non è morto, caso mai è il wine blogging commentator che sta agonizzando, stramazzante sotto la quantità di offerta a sua disposizione. Non c'è tempo di riflettere su quello che legge grazie ai suoi link feisbukkiani che, zac!, compaiono altre tre o quattro finestrine in cui si riporta qualche altro post più attuale. Questo è un primo spunto, la quantità dell'offerta rispetto al tempo a disposizione dei seguaci, rende difficoltosa la selezione dei blog meritevoli di essere letti, se non commentati. Sono riuscita a scrivere un solo paragrafo inzeppandolo di termini anglo-internettiani. Questo è un altro spunto, il linguaggio che non si adegua abbastanza velocemente alla capacità di concentrazione ed assimilazione del lettore, ormai viziato dalle sintesi linguistiche dei vari social, rischia di perdersi. Forte di quanto sopra, concludo: la formula classica del blog sta mutando, quella specifica dei wine blog conserva ancora un certo stile quasi arcaico. Questo perché l'argomento di cui tratta si presta meno ad eccessive variazioni contemporanee. Non è detto che sia un male, almeno per me e qualche altra dozzina di wine blog raider. Sono una tenace conservatrice riguardo ai contenuti e alla loro esposizione. Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c'è Facebook.

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luciano pignataro

circa 10 anni fa - Link

Trovo il post molto interessante perché apre un mare di riflessioni. Dico la mia sulla base dell'esperienza maturata in questi ultimi anni. 1-Non sono molto convinto dell'immediato tramonto di Facebook perché è un meccanismo che crea una forte dipendenza. Addirittura un nuovo galateo (mi tagghi e perché non mi tagghi? E se mi tagghi ti rispondo e perché non mi rispondi o condividi?). Vedo ormai che relazioni della vita reale si rompono proprio per quello che succede in Fb 2.Facebook è molto utile per chi sta nella comunicazione. A parte le migliaia di visite che trascina, serve a reperire immagini, offre idee e spunti, misura il polso della situazione. 3-Facebook non ha ucciso i blog, almeno guardando i dati delle visite, ma soprattutto i vecchi forum perché il cazzeggio e il battutismo si è trasferito lì perché è più immediato e soprattutto, quiso che Fiorenzo non è d'accordo, perché la discussione è più protetta da troll e anonimi. 4-Sicuramente ha però reso la vita più difficile nei blog che puntano tutto sulla discussione del post e non solo all'aspetto informativo e narrativo. Nel senso che non basta più fare un buon titolo e la foto intrigante, ma è necessario molto contenuto originale e spunto vero, non artefattto, di discussione. 5-Credo che i blog continueranno a vivere e a proliferare in Italia come ovunque, a patto che si specializzino e diano un motivo valido per essere visitati. Infine, comportamento personale, credo che Facebook, Twitter siano solo efficaci strumenti di comunicazione, il segreto del loro uso è il dosaggio. Soprattutto evitare l'effetto serratura, cioé andare a spiare gli altri cosa fanno, perché è lì che finisce l'utilità e inizia il lavoro per gli psichiatri

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Fabrizio pagliardi

circa 10 anni fa - Link

Sono perplesso, ormai i blog li seguo poco e li commento meno. Fb è solo un gioco, per twitter vedo i miei amici e colleghi sempre meno interessanti, e anche un esaltato dello strumento come mio fratello lo sta abbandonando lentamente. Non lo so, il confronto su fb è spesso iperpolemico e sconclusionato. Devo dire che a me nel mondo del vino mancano i forum. Anche se ogni volta che provo a riprendere a seguire quello del gambero mi deprimo. Io rivorrei winesnob. Piccolo quasi carbonaro frequentato bene

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GioLazzari

circa 10 anni fa - Link

Apprezzo la riflessione di Fiorenzo, quella di Nelle Nuvole e, anarchicamente, la "selezione" desiderata da Fabrizio, ma mi sento più in linea con il pensiero di Luciano. Ammetto che il tag di Alessandro mi ha portata a questo testo prima che io decidessi di consultare quotidianamente il blog: ben venga, quindi, la funzione di "spia live", di stimolo, di invito alla lettura che ha avuto il social network. E per fortuna che, oltre ad un titolo, a una stringa di testo, c'è poi anche un bel contenuto da leggere, da qualche parte. Niente morte di nulla, dunque, mi auguro. Ma scelte da fare. Variabili da valutare. As usual. Senza dubbio l'intenzione del mio commento scaturisce come una sorta di istintiva risposta a quelli ispirati dalla pubblicazione del link del post on Facebook, ma penso che il tema del post stesso esiga una sede meditativa più "comoda" e meno caotica. Visto che non è sempre così, bene che ci siano località alternative di discussione. Sono più "lettrice" che "scrittrice", più istintiva che razionale e, forse per queste ragioni, trovo che, per generare una conversazione, il social garantisca più spontaneità (a livello relazionale) di intervento, sicuramente a chi, come me e per diverse ragioni, non si lancia assiduamente sul commento nei blog. Personalmente ho poi anche maggiore necessità di far fronte alla frenesia del lavoro quotidiano che ad una puntuale attività di "critica", ed ecco che il tono e la dimensione emozionali, divulgativi e non speculativi degli interventi social sono per me di nuovo più immediati (a livello di approccio, stavolta) e quindi più frequenti (oltre che più utili nel monitoraggio dell'overview dei topics quotidiani negli ambiti settoriale, trade, consumer e non in uno solo di essi). E' come conoscere qualcuno scrivendogli una lettera di presentazione o fumando una sigaretta per caso: l'incontro è fugace, la relazione si spera sia approfondita, solo se meritevole. E forse non sono l'unica ad essere in una situazione simile: 16 commenti là contro 8 qui; tutti interventi di voci autorevoli ma, da un lato, più volutamente ironici e "di pancia", dall'altro più densi e informativi, come è prevedibile sia. Il punto non ritengo sia perciò blog si/no, social si/no, ma è sapere cosa dire, dove e a chi, farlo bene, in modo coinvolgente e, ogni tanto, nuovo, se ci riusciamo. Insomma, il tema è stimolante, non trascurabile e generatore di molti input: cerco di esaurire i miei... Ogni media ha dei limiti e quindi degli utilizzi specifici differenti: non si deve essere seri ovunque, non si deve essere scanzonati ovunque. A volte è una vera fortuna che certe conversazioni non si cristallizzino nell'"archivio digitale" e che scompaiano, invece, nel magma delle parole social. Altre volte è meglio che blog ormai poveri di contenuti non intasino la rete. Un blog approfondisce, un social network diverte, niente di nuovo: i due aspetti della comunicazione possono convivere in un universo ampio ed essere usati a seconda delle esigenze contenutistiche, strategiche, di tempo di ognuno... Se non hai tesi interessanti da esporre in modo articolato, puoi anche star zitto, o "andare al bar"; se non hai modo di esporre compiutamente le tue idee valide, può forse essere meglio che tu diffonda il tuo pensiero anche solo in pochi caratteri. E ancora: quanti consumatori di vino vogliono davvero approfondire tematiche varie o hanno gli strumenti per farlo? Io lo voglio, voi anche, immagino, ma siamo evidentemente in pochi. E infine: se il social permette addirittura di far capitare in una conversazione un potenziale nuovo consumatore e non solamente un esperto, non mi può dispiacere come mezzo; e se questo consumatore non vuole approfondire, dopo il suo approccio, ma solo assaggiare, va bene così; quando poi vorrà documentarsi, sarà bene approdi pure su un blog vivo, nè deceduto nè risorto. Se vuole poi solo leggere e non commentare, pace, il blog si "evolverà". Il punto non è che qualcosa soccomba a discapito di qualcos'altro o meno, ma che anche "noi contadini della comunicazione vinosa" troviamo il linguaggio migliore per ogni situazione e per ogni interlocutore, non solo per una nicchia (che, se va bene, è meno del 5% dei bevitori totali), oltre che contenuti adeguati. Ultima cosa, che forse avrei dovuto scrivere per prima perché è da ieri che mi "tormenta": osservando i risultati di una ricerca, ho imparato che in USA chi parla di vino sta oggi praticamente solo su Twitter (i forum, il web, Facebook -fatto 100 il totale delle spokeperson di ogni estrazione- praticamente non esistono). Sono sicura che noi "appassionati" dovremmo tenerlo presente, al di là di ogni romanticismo (che io amo conservare in molti aspetti della vita).

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Wine Roland

circa 10 anni fa - Link

Quando sono nati i blog, hanno portato con se proprio la grande innovazione dei commenti da parte dei lettori. Quindi un blog che riceve pochi commenti, si dirà, serve a ben poco. Magari però i post di quel blog ricevono parecchie condivisioni e commenti direttamente sulle reti social, da dove vengono taggati i possibili lettori. Il contenuto è comunque stato letto, è stato veicolato, l'autore acquisisce credibilità (che non si misura certo con il Klout). I contenuti raramente nascono su facebook in modo spontaneo, quasi sempre sono il rilancio di una news comparsa su un qualunque quotidiano/blog/sito online. Su facebook si cazzeggia, poco altro, non è un aggregatore di notizie. Ha del tutto ragione Fiorenzo Sartore quando parla di volatilità dell'informazione (fB o Twitter, è lo stesso), mentre G+ ancora non si è ben capito come vada utilizzato. Inizia una discussione su fB, poi arriva una notizia più fresca a distrarti e zap! si passa tutti a chiacchierare dell'ultima news. Credo che il problema reale sia il bombardamento di notizie (non faccio certo una scoperta esaltante) e poco tempo per commentarle o anche solo leggere qualcosa in più del titolo. Un tempo (ehi, stiamo parlando di cinque o sei anni fa) si seguivano pochi blog dove si commentava anche, e si ricevevano commenti ai nostri post (se erano interessanti). Oggi abbiamo notizie di tutti i generi, dalle scienze alla moda, dal vino all'architettura. Finito di leggere, si usciva con gli amici per andare a bere una birra (o aprire una buona bottiglia). Adesso possiamo fare tutte e due le cose insieme, bere mangiare camminare ridere cantare lavorare nuotare, e leggere le ultime news. Chi è più libero di noi?

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francesca ciancio

circa 10 anni fa - Link

riflessione notturna che scaturisce dalla lettura interessante ma faticosa dei commenti lunghi. Non c'è più Tempo. Il tempo di una lettura accurata e rigorosa. E' un balbettio del pensiero, spesso ovunque. Se leggo male, il mio pensiero non si alimenta e anche la mia conoscenza va a scatti, il mio stesso ragionamento si abitua al singhiozzo. E non è solo il ragionamento a risentirne, ma anche l'emotività. Tutto sempre un po' più sincopato. No, non attacco con il "pippone" "ahhh come era bello leggere un giornale". Metto da parte l'allure passatista e mi fermo allo spazio del blog. Più che essere d'accordo con Sartore, spero soprattutto che il TEMPO gli dia ragione, che i mezzi siano più complici della nostra intelligenza e che la dominino meno

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Paolo

circa 10 anni fa - Link

Illuminante la sua osservazione, gentile Ciancio: il tempo, diamine, a volte corre così in fretta che anche io... mje ne dimentico! Eppure ci faccio anche più di un paio di riferimenti ai miei "clienti" che sono costretti ad ascoltarmi. E' così vera la sua osservaione, che al richiamo “ahhh come era bello leggere un giornale”, ho pensato di rilanciare. Non andiamoa leggere il giornale, andiamo a prendere (qui internette ci aiuta) le prime pagine di 50, 70 anni fa, e vediamo come sono composte. In questi giorni in TV passano le prime pagine dei giornali di 100 anni fa, che hanno gli articoli riguardanti l'approccio e poi la dichiarazione di Guerra del 1914: osservate la composizione la modalità di stampa: a occhio solo per la prima pagina ci si impiega il tempo che oggi usiamo per leggere tutta Rep., compresa l'omelia domenicale di Scalfari. Tempo, il tempo era, è, tutto differente, in relazione al mezzo. E tw con i suoi 140 caratteri e hastag sposta ancora più in là l'asticella del tempo.

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Fiorenzo Sartore

circa 10 anni fa - Link

Ringrazio tutti per gli interventi, tutti interessanti e fonti di ulteriori riflessioni. Quando con Alessandro si parlava di rilanciare questa cosa in effetti io paventavo il rischio stramazzamento del lettore, perché io sono tra quelli che immaginano comunque un'idea di blogging quanto possibile veloce e scattante. Ma pare che questo non sia sempre possibile ed in un certo senso diventa anche necessario prendersi tempi lunghi ogni tanto, un po' come quando nel nostro giro si enfatizza la modalità slow, ecco che noi (io e voi) ci siamo presi il lusso di essere più verbosi del solito. E allora che diamine, facciamolo. Dico questo partendo soprattutto dalle considerazioni di Francesca qua sopra, che mi trovano d'accordo: abbiamo poco tempo (o meglio troppo poco tempo per i moltissimi input) il che determina una specie di disturbo dell'attenzione; mi ha fatto venire in mente per esempio che io ormai non guardo la TV perché mi annoia, nel senso che non riesco a mantenermi concentrato su un topic per più di mezz'ora. Credo saremo tutti d'accordo nel dire che c'è qualcosa che non va in questo, anche se io tendo a autoassolvermi perché in definitiva ho metabolizzato un fatto: anche il meccanismo dell'attenzione ha titolo di evolvere, in un mondo così fittamente multimediale. "Multimediale", ve la ricordate questa parola? Identificava i primi computer che oltre a fare il lavoro ordinario avevano scheda grafica (giochi) e audio (film, musica). Erano strumenti di lavoro che però, ops, consentivano di interrompere il lavoro e fare pure altro. Ecco, io credo che un paio di decenni di multimedialità, tra l'altro, possano averci modificato i meccanismi del tempo applicato alla percezione e all'interesse. Ora, si tratta di capire se i cambiamenti sono progressivi o regressivi, io sarei per la prima ipotesi ma come vedete a 'sto modo si va anche troppo lontano. Tornando all'argomento del post vorrei però dire che i commenti, la loro presenza o assenza o abbondanza dal mio punto di vista non costituiscono esattamente il problema. Questo è un dato che mi ha fatto discutere spesso con i miei amici ma io ho sempre pensato: chissene del numero dei commenti. Davvero, il mio rant non ha nulla a che fare con i social che portano via ai blog, o cose così. Semmai è sempre la solita questione della qualità delle conversazioni. Io credo nell'orizzontalità, cioè nella pari credibilità di autore e commentatore. Tuttavia questa cosa, con la quale pare di istituzionalizzare il caos primigenio, è esattamente il contrario del caos: richiede enorme senso di responsabilità sia in chi crea il contenuto, che in chi lo commenta (che in quel momento crea un altro contenuto, esattamente nello stesso modo dell'autore). Questa gigantesca presa di responsabilità sta accadendo? Assolutamente no. Ci siamo dati un potere gigantesco, tutti quanti, e una massa enorme di persone come noi (oddio, peggiori di noi, è evidente che i presenti non sono tra quelli) sta sprecando quel potere in discussioni ininfluenti. Anche questo, potremmo dire, è un esercizio di libertà: tuttavia la gran massa di dati che scorre come un fiume e appare irrilevante necessita, in noi che leggiamo, di un ulteriore lavoro: tagliare. Eliminare le fonti irrilevanti. Io lo faccio ogni giorno, ed in effetti è l'unica cosa che consente di sopravvivere alla piena. In questo senso la prevalenza del link permanente nei post relativi ai blog costituisce elemento di ecologia (uno trova quel che gli serve quando gli serve) mentre la volatilità delle reti sociali appare piuttosto come un malfunzionamento da aggirare. (Avete presente la famosa frase "La rete interpreta la censura come un malfunzionamento, e la aggira"? Sostituite "censura" con qualunque cosa non vi vada a genio, e la soluzione resta quella). Ringrazio Wine Roland per avermi ricordato l'esistenza di G+ sulla cui inutilità ho scherzato all'infinito, ma si vede che a forza di aggirare ho finito per cancellarne anche il ricordo. Mi ha colpito molto il commento di Giovanna, che essendo persona social anche sul piano professionale ha grande titolo per parlare a difesa di Twitter. Tuttavia la cosa che segnala in fondo al suo commento, che in effetti avevo letto su Twitter ieri, un po' mi costerna, ma un po' me la dovrò far andare bene, temo. Soprattutto sono grato a Giovanna per aver identificato la necessità di usare le conversazioni in rete su piani di "serietà" variabili, perché appunto non è umano essere ad un modo (o all'altro) sempre e continuamente: essendo noi umani, è inevitabile comportarsi come tali, e probabilmente è anche salutare. Peraltro la mission di Intravino era precisamente quella. Anzi, adesso dopo queste lunghe lunghissime cose è necessario che io lavori ad un post di tre righe col filmato della tizia che stappa la birra col ferretto del reggiseno - ma prima deve togliersi il reggiseno. (Non cercate quel filmato, dubito esista, me lo sono appena inventato).

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