Ci mancava Camillo Langone sul vino naturale per registrare la banalità di fine estate
di Alessandro MorichettiConvintamente e con buona frequenza c’è qualcuno che a tutti i livelli, dal giornalino della parrocchia al Foglio come ieri, tira fuori un paio di luoghi comuni e banalità su un tema che tira come gli outfit di Drive-In: il vino naturale. Argomento discusso praticamente in ogni cantina e di stringente attualità da vari anni a questa parte.
Viste le prevedibili premesse, sono troppo pigro per interessarmi dell’intero articolo ma quanto scrive Langone (per la biografia c’è Wikipedia) su Facebook mi sembra una ottima sintesi da cui prendere spunto per rilevare un paio di questioni che scardinano l’impianto.
1) Vino naturale = vino senza solfiti.
Equivalenza che nessuno dei produttori più validi dell’emisfero naturale sottoscriverebbe in questi termini. Anzi, è vero il contrario: tra i migliori produttori naturali, una dose minima e ponderata di zolfo è quanto rientra praticamente come UNICO “ingrediente” nella ricetta del vino. L’altro è l’uva. E il piccolo manifesto del vino naturale – un obiettivo cui tendere, non un’imposizione, un auspicio in qualche modo – ce lo ha regalato qualche anno fa quella testa di sardo di Alessandro Dettori (Alessandro Dettori e l’etichetta trasparente del vino) col suo “Ingredienti: uva e zolfo”.
Quindi: vino naturale = vino senza solfiti è una cazzata. E se qualcuno lo sostiene, trattasi di cazzone. Se poi Dettori o chi per lui fa un vino pazzesco e senza zolfo noi non possiamo mica insultarlo, eh.
2) «In natura il vino non esiste (in natura a malapena esiste l’uva) e chi insiste a usare lo stolto aggettivo si merita l’affermazione del grande vignaiolo abruzzese Francesco Paolo Valentini: ‘Il vino naturale è l’aceto”». C’è del vero e del pastrocchiato qui in mezzo. NESSUNO dei produttori naturali, NESSUNO, sostiene che il vino si faccia da solo o che a farlo sia la natura. Infatti “naturale” sta a indicare altro (cioè un vino prodotto con sapienza e con un contributo minimo/irrilevante di qualsiasi prodotto al di fuori di uva e zolfo: è un prodotto culturale, evidentemente), e per quanto scivoloso – lo è ma di meglio non abbiamo – il termine indica qualcosa di forte che non si può più far finta di non vedere: e che venga ancora usato contribuisce ad affermare il riferimento ad un universo di significato che molti degli utilizzatori hanno chiaro. Mi sta particolarmente simpatico? No. Abbiamo di meglio? No. Artigianale è un sostituto? No, e se possibile incasina ancora di più perché il mondo è pieno di artigiani pasticcioni e alchimisti. Vero però è che molti produttori naturali sono artigianali, qualsiasi cosa questo voglia dire.
Conclusione: il problema può essere terminologico (punto 2) ma chi parla di naturale generalmente sa a cosa si riferisce e così chi ascolta con attenzione. Se a “naturale” sostituiamo matematicamente “fatto con uva e zolfo” (che è una ottima approssimazione alla miglior definizione) vedrai che Valentini non scassa la minchia anzi sottoscrive, scommettiamo?
Corollario: l’argomentazione in risposta parla volutamente di cantina e non di vigna (per semplificare, ma volendo si amplia il discorso). Per ulteriori approfondimenti sul tema suggerisco a Langone di approfondire la conoscenza di una siciliana che “produce vini naturali, ma ha smesso da tempo di farne una guerra di religione”: si chiama Arianna Occhipinti e ne ho letto sul Foglio. Del resto nemmeno il Foglio riesce a scrivere un 100% di inesattezze, si blocca poco prima
Per il resto, niente da aggiungere al commento di quella gran saggia di Cristiana Lauro: “E poi smettiamola con queste balle che il vino faccia bene. L’alcol fa male. Ognuno poi decide come farsi del male nella vita. Io col vino, ad esempio”.
[Foto: Sfondi desktop]
27 Commenti
vinogodi
circa 9 anni fa - Link... odio le generalizzazioni , ma quando si parla di agricoltura e tecnologia "sostenibili" è difficile, da parte mia, non includere tutto un comparto agronomico dove l'attenzione a ciò che sia meno dannoso alla salute individuale e all'ambiente diventa impegno doveroso di tutti . Anche nel vino. Che ampia frangia di produttori siano restii a discuterne , è chiaramente pro domo business comprensibile ma non auspicabile . Probabilmente rimane l'ignoranza individuale a far scrivere coglionate o , nella migliore di ipotesi , affermazioni per lo meno poco suffragate da conoscenza dei temi trattati. Abbiamo ,di contro e su cui punta certa comunicazione, il pessimo esempio di chi dietro al paravento, più ideologico che pratico, del naturale nasconde incapacità tecnica e i difetti li spaccia per pregi, così come l'aderire ad un "movimento" rimane la miglior tecnica per ottenere visibilità, soprattutto per chi ha pochi mezzi e poca voglia di sviluppare il tema della comunicazione mirata. Sta di fatto che gli esempi di vino da agricoltura e tecnica "sostenibili" con risultati straordinari sono molteplici e testimonianza che lavorare nel rispetto di parametri poco invasivi salutisticamente si può e si deve. Borgogna su tutti. Che poi l'industria del bere necessita di accorgimenti meno attenti e puntuali per avere risultati numerici supportanti prezzi finali e fatturati ad almeno 8 zeri non è ... neppure questo vero, perché se l'educazione civica in tal senso prende piede , la consapevolezza della "massa che compra" condizionerà, questa volta nel bene , le scelte anche dei grandi gruppi... PS: purtroppo, il "vino che puzza e torbido" non fa buona pubblicità al movimento, se preso come esempio di una categoria...
Rispondisuslov
circa 9 anni fa - LinkCamilo Langone e' in genio indipendentemente da quello che scrive.
Rispondidamiano
circa 9 anni fa - LinkLangone è la parodia di sgarbi ? Almeno sgarbi conosce l arte.
RispondiAlessandro Morichetti
circa 9 anni fa - LinkPliz, qui interessano gli argomenti e non le persone in sé, grazie! ;-)
RispondiLorenzo
circa 9 anni fa - LinkFino a quando non esisterà una "certificazione" del vino naturale e non esisteranno metodi analitici per verificare la presenza di ciò che i produttori di vino naturale dicono di non usare..., il vino può essere definito anche alieno. Nessun produttore che spaccia le sue per fermentazioni spontanee ammetterà mai di usare lieviti selezionati e, guarda caso, non esiste un metodo analitico che possa dire, partendo dalla bottiglia, che lieviti si è usato in fermentazione. Come non serve a nulla fare gli esami residuali in bottiglia per l'utilizzo di fito-farmaci. La fermentazione pulisce quasi tutto, ammesso che sia rimasta qualche traccia di un sistemico sparato nel maggio di non si sa quante annate prima. (Sveglia! Le molecole hanno un periodo di rilevabilità!) Il Vino Naturale _deve_ fare il salto di qualità, uscire dalla logica delle "associazioni" e porsi la serietà di un processo di certificazione seria, uguale e ripetibile per tutti, altrimenti, prima o poi, i consumatori ci arrivano a capire dove sta l'inghipoo! .... sperando che prima o poi, e conoscendoli molto in ritardo rispetto ai consumatori, ci arrivino anche i giornalisti!!!!!!!
RispondiAlessandro Morichetti
circa 9 anni fa - LinkChe molto non sia rilevabile è verissimo e lo sappiamo. Io, di mio, non mi fido del 70% delle autocertificazioni di produttori, siano essi piccoli o grandi. Debole, debolissima, la conclusione: quello che molti bevitori già sanno - e prima di loro lo sanno bene i produttori - è che sono proprio le certificazioni stesse a fare acqua. E lì sta una grossa, grossissima parte dell'inghippo.
RispondiGillo
circa 9 anni fa - LinkApprezzo moltissimo questa replica di A Morichetti.
RispondiLorenzo
circa 9 anni fa - LinkAlessandro, consentimi, le certificazioni non fanno assolutamente acqua da nessuna parte, specialmente in Italia. Qui esistono enti certificatori seri (che sono privati) che fanno controlli incrociati con i funzionari pubblici (Es. AGEA & Antifrode). Da me ci vengono spesso e volentieri a prendermi i campioni di suolo l'inverno, le foglie a fine primavera ed i frutti prima della raccolta (non produco vino). Ora, non sto dicendo che non ci siano mele marce, ma così facendo, screditando le certificazioni, che, per inciso, sono l'unico protocollo di controllo che, per quanto migliorabile, è il solo esistente, create un alibi per tanti che ci provano ed in questo regime informativo ci riescono! (a prendere in giro il consumatore, intendo). Le certificazioni sono importantissime, solo in Italia abbiamo questo atteggiamento da "mafia baffi neri mandolino" in cui le screditiamo. All'estero, grazie a dio, non è così. Altro esempio che ti porto all'attenzione è l'ultima moda di screditare le DOC che, come ben sai, piuttosto che essere una Denominazione, sono innanzitutto una certificazione. Quando vedo vini appartenenti a zone pedoclimatiche uniche (DOC e DOCG) marchiati come IGT... a me viene tanto da sorridere. Non mi fraintendere, non che un produttore non possa fare una scelta commerciale diversa o stia frodando qualcuno, ma, come ben sai, in un IGT ci si possono mettere vini esterni alla zona di produzione tutelata dalla DOC (e quindi dalla tracciabilita e dalla cettificazione!). Sta a voi che fate informazione difendere questi concetti, propondendo miglioramenti, ma dicendo che le certificazioni fanno acqua, a mio avviso, ma è solo la mia opinione, stiamo creando un caos dove chi ci perde è solo il consumatore. Un caro saluto, spero di non aver offeso nessuno, sono solo le mie opinioni.
RispondiAlessandro Morichetti
circa 9 anni fa - LinkA me viene da sorridere, anzi da incazzarmi, quando vedo vini eccellenti che non rientrano nelle doc o quando prendo in mano il disciplinare del Vino Biologico - che suona bello e giusto - per poi trovarci un bel po' di robe che poco o nulla hanno a che vedere con l'idea di vino "naturale" che ho. Capisco i tuoi rilievi e ho volutamente forzato i termini ma usciamo dalla questione formale ed entriamo in quella sostanziale. Quella sostanziale è che il Cannonau di Alessandro Dettori fatto con uva e zolfo e spesso vino della Madonna sarebbe un perfetto esempio di vino che non prende la doc.
RispondiLorenzo
circa 9 anni fa - LinkAlessandro il punto é un'altro, anche io adoro i vini di Dettori e lungi da me l'idea che lui possa lontanamente essere un bugiardo, anzi, sono sicuro che lui é uno dei seri! Io dico un'altra cosa: senza una certificazione ed un controllo la scritta "uva e zolfo" ha lo stesso valore pratico, tecnico e giuridico di scrivere "vino bello prodotto da acini modelle di playboy" in etichetta! Mi sono spiegato sulla differenza? Non vale niente!
RispondiGillo
circa 9 anni fa - LinkLangone è lontanissimo dalla mia concezione di giornalista. Detto questo, Lorenzo ha espresso molto chiaramente "quasi" tutta la mia posizione sui vini naturali.
Rispondiantonio
circa 9 anni fa - LinkQuoto Lorenzo al 100%, il suo intervento è estremamente lucido e scevro da ogni presa di posizione preconcetta. Solo con una certificazione seria di un organismo indipendente potremmo vedere la fine di questa "guerra di religione" che fa comodo soprattutto a quelli che dietro al termine "naturale" nascondono incapacità e vini mediocri, mentre per quei produttori seri che fanno vini corretti seguendo le regole della viticoltura e vinificazione naturali, non potrà che essere un valore aggiunto. A proposito di questi ultimi, ho bevuto ieri una Malvasia 2009 di Skerk strepitosa!!!
RispondiFranco
circa 9 anni fa - LinkPossiamo parlare un secondo solo del titolo di questo articolo? L'ultima risposta di Morichetti è la prova che quella presa di posizione tutto è fuorché banale. Banale (anche se io la chiamerei truffa) è cercate ad ogni costo di far passare un prodotto per quello che non è. Le certificazioni, come i giudizi delle guide, sono strumenti utili per solo per i consumatori che hanno bisogno del bollino per scegliere cosa bere. Su questo si basa l'equivoco del mercato secondo cui vino naturale = senza solfiti, sul mercato che ha bisogno di semplificare per capire e su operatori di settore che, per spingere oltremodo un comparto vinicolo fatto di molta gente che altrimenti non avrebbe saputo come vendere il proprio vino, hanno giocato su questo equivoco.
RispondiGiova.nni
circa 9 anni fa - LinkA mio avviso le certificazioni terze hanno 2 problemi ad oggi non risolti: l'effettiva terzietà e la sostenibilità economica di un controllo veramente efficace. E comunque credo che un consumatore consapevole acquisti il prodotto più che il processo di produzione.
RispondiDemetrio de' Speri
circa 9 anni fa - LinkDirei che è palesata la sua ignoranza e tutti i limiti culturali, empirici e tecnici di quest'inutile essere. Sig. Langone se mai dovesse iniziare a capire qualcosa nella sua misera quanto futile esistenza organica provi a chinare la schiena e lavorare. se vuole io ho bisogno in campagna.
Rispondivinogodi
circa 9 anni fa - Link...se non badate ai francesismi e a un povero cretino per 10 anni alla Direzione Qualità di una grossa azienda alimentare... le certificazioni di prodotto o sistema di terza parte sono per lo più una grande inculata per un presupposto inappellabile : la "terza parte" dev'essere completamente indipendente... ma come fa una "terza parte" essere indipendente se pagata dal committente? (come lo sono ora) ... poi ce ne sono un'altra dozzina di considerazioni ma non vorrei entrare in un merito tecnico che interesserebbe pochissimi...
Rispondiantonio
circa 9 anni fa - LinkInfatti Vinogodi, nel mio precedente post sottolineavo l'aggettivo "indipendente" per rimarcare l'anomalia del sistema attuale, ossia il certificatore pagato dal certificato!! Una contraddizione, che come giustamente scrivi, è all'origine della perdita di credibilità sui prodotti biologici/biodinamici. Nello specifico del vino, un consumatore "evoluto" sceglie un vino sulla base della conoscenza e della serietà del produttore più che sulla garanzia dell'ente certificatore, ma parliamo di una percentuale al di sotto del 5%, per tutti glia altri una certificazione seria potrebbe essere un indicazione fondamentale nella scelta.
RispondiPaolo
circa 9 anni fa - LinkTemo di non concordare, antonio, su un aspetto: chi paga chi. Posto che qualcuno dorà pur pagare il certificatore, sei proprio sicuro che sia l'azienda a pagarlo? Non nel senso della fattura/bonifico, questo è evidente. A me sembra chiaro che a pagarlo "per davvero" sia l'acquirente, nel prezzo che versa per il suo acquisto. Quando sborso i miei soldini per la bottiglia che mi piace tanto mica distinguo gli euro "questi sono per l'IVA, questi per la certificazione, questi per il tappo..."
RispondiLorenzo
circa 9 anni fa - Link@Vinogodi & @Antonio Perdonatemi, non è affatto un'anomalia, è così che deve funzionare. Una certificazione è una scelta di un'azienda ed un ente certificatore è una terza parte. Quello che viene pagato dal committente sono i giorni uomo per gli audit di certificazione, non la certificazione! Tra l'altro è un modello che funziona così in tutti i campi, in tutto il mondo. Anche nei campi dove c'è di mezzo la vita delle persone (trasporti, centrali nucleari etc.) Quando vedete il marchio TUV o DNV sulle certificazioni che riguardano i sistemi di safety cosa pensate? che la Vostra vita è in pericolo perchè il produttore di auto di turno paga l'ente certificatore? Cerchiamo di staccarci da questi concetti...
RispondiGillo
circa 9 anni fa - Link"Nello specifico del vino, un consumatore “evoluto” sceglie un vino sulla base della conoscenza e della serietà del produttore più che sulla garanzia dell’ente certificatore"(Antonio) E' il mio criterio(non so se sono evoluto :-) che cerco di adottare anche con altri prodotti.Ad esempio, mi fido ciecamente di Vannulo per le mozzarelle di bufalo, perché lo conosco e per tutta una serie di considerazioni.Ma, s'intuisce, che non sempre è facile metterlo in pratica. (Ricordo che la Vannulo è fuori dal Consorzio (e dal disciplinare). Cosa vorrei come consumatore? Degli ESPERTI che mi aiutino a scegliere con queste caratteristiche: 1 bravi, tecnicamente (ma non basta) 2 indipendenti 3 onesti Non pensate che sia facile.
RispondiFranco
circa 9 anni fa - LinkPerché parliamo sempre di Dettori? Tutti gli altri non contano niente? Posso trovarti mille persone a cui non piacciono i suoi vini, smettiamola di parlare di prodotti, che è un argomento in cui la soggettività la fa da padrona. Parliamo invece di regole. Gli enti certificatori, in quanto privati e pagati dalle aziende produttrici fanno, chi più, chi meno, quello che dice l'azienda. Vogliamo parlare del miracolo della conversione in Bio di decine di aziende da un anno all'altro anziché attendere i 6 anni previsti? O le grandi prese in giro di acquisto di ettari già precedentemente in Bio.... Ma per favore. Non esistono regole, non esistono controllori e non esiste cultura nel consumatore per capire se un prodotto merita oppure no. Che poi basta anche con questa storia, le sostanze così tanto criticate e presenti in alcuni vini, sono comunque entro i termini di legge e pertanto non nocive per l'organismo. Personalmente preferisco bere roba in cui non ci siano residui di pesticidi, ma se ci sono 95 mg/l di solfiti anziché 20, ma sticazzi!
RispondiLorenzo
circa 9 anni fa - LinkFranco, si parte da un presupposto, la certificazione BIO è una NORMATIVA e, in quanto tale, se la si rispetta, si ottiene la certificazione che è sia di processo, sia di prodotto. (cosa da non sottovalutare affatto). Se un produttore acquista colture già convertite al BIO qual è il problema ? Signori, ricordo sempre, la normativa del Biologico e del Biodinamico Demeter, quantomeno, hanno processi di controllo. Possiamo parlare dell'efficienza e dell'efficacia di questi ultimi, ma almeno esistono e sono applicati! Il miracolo che dice Lei, a mio avviso, è unicamente dovuto al fatto che i produttori stessi si sono resi conto che in Italia il biologico/biodinamico certificato sono fattibili e che si tutela il suolo e la coltura per le produzioni future. Molto spesso non è una scelta di sostenibilità ambientale in quanto tale, ma una vera e propria scelta di "business", ma almeno è apertamente dichiarata.
RispondiValentina Chiarini Wulf
circa 9 anni fa - LinkDomanda molto pratica: cosa si intende per ingredienti del vino uva e zolfo? E cosa si intende per zolfo? Forse Dettori stesso se legge può darci una risposta.
RispondiValentina Chiarini Wulf
circa 9 anni fa - LinkIl silenzio delle risposte è assordante. Eppure è una domanda logica e di buon senso. Esprimendola in maniera più estesa: visto che in questo articolo e in altro precedente è stata più volte riportata la dicitura "ingredienti uva e zolfo" vorremmo sapere se si intende lo zolfo impiegato in vigna o se viene usato nella vinificazione. La scritta così come è concepita implica il fatto che nella bottiglia è presente lo zolfo; è ancora, cosa si intende per "zolfo"? Attendiamo risposta anche da Morichetti, che peraltro leggiamo sempre con piacere.
RispondiAlessandro Morichetti
circa 9 anni fa - LinkGentile Valentina, grazie della stima però suvvia, che tono inquisitorio. Pensarà mica che il Dettori stia attaccato al computer notte e giorno? Ad ogni modo, propendereri per la soluzione dello zolfo in vigna più che in vinificazione. Quantomeno all'epoca. Poi i vini potrebbero essere migliorati quindi magari hanno trovato la quadra anche in vinificazione ;-). Ad ogni modo, scriva all'autore e credo avrà tutte le risposte necessarie. Un caro saluto
RispondiDaniele
circa 9 anni fa - LinkLa verità? Leggere Langone, anche se scrive cazzate, è piacevole. Leggere voi, sempre col ditino alzato e la prosa da sbadiglio, è un'impresa titanica.
RispondiValentina Chiarini Wulf
circa 9 anni fa - LinkBuonasera Morichetti, inquisitiva? Ma no, proprio no! Sbrigativa forse, non avendo molto tempo da perdere. Ho tirato in ballo Dettori perché l'etichetta è sua, ma poiché è stata citata e fotografata in queste pagine come esempio di etichetta trasparente mi sono rivolta soprattutto a lei, pensando che l'avesse capita. Le mie perplessità sono le seguenti: la buona pratica agricola (che sono sicura Dettori conosce e applica perfettamente) richiede che nel prodotto finito non ci sia traccia di quanto messo nel campo, che si tratti di macerato di ortica o pesticidi . Che nel processo di vinificazione si usi lo zolfo, come sembrerebbe da quell'elenco di ingredienti, da una parte lo troverei estremamente preoccupante, dall'altra mi indurrebbe a pensare che si è riusciti a tramutare lo sterco in oro. E se in vigna si usa il letame o la calce, come spesso succede? Lo scrivo sull'etichetta? Il fatto è che gli ingredienti di un determinato prodotto menzionati sulla sua etichetta stanno a significare che quel prodotto, in questo caso il vino, in quel momento li contiene. Altrimenti non è trasparente, anzi il consumatore viene indotto in errore. Questo è molto semplice, meno semplice è il problema di cosa effettivamente scriverci sopra, sia da un punto di vista normativo che da un punto di vista tecnico. I controlli, almeno a macchia di leopardo e su alcuni produttori, garantiamo che ci sono, e le multe sono in termini di migliaia di euro. Cosa che a chi non è del mestiere probabilmente sfugge. Un caro saluto anche a lei
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