Chi è L’assaggiatore che non c’era, e perché quando c’è non appare

di Pietro Stara

Fughiamo ogni dubbio: l’assaggiatore che non c’era è sempre presente ad ogni fiera vinicola che si rispetti, o che si rispetti meno. E’ ad ogni degustazione, ad ogni meeting vinoso che si svolga nell’arco di 1500 Km dalla sua abitazione. L’assaggiatore che non c’era corrisponde ad una tipologia del degustatore del tutto divergente a quella dell’assaggiatore narciso. L’assaggiatore che non c’era è etereo, impalpabile, al limite dell’invisibile. In poche parole impercettibile. Bisogna però stare attenti a non confonderlo con l’assaggiatore comune, prototipo di quel fenomeno di massa assolutamente maggioritario nelle fiere vinicole. Mentre l’assaggiatore comune è un individuo non specializzato nel settore vinicolo, che va ad una fiera, solitamente vicina a casa, perché rappresenta un momento ludico come tanti (cinema, cena, ballo liscio), l’assaggiatore che non c’era è un conoscitore approfondito del mondo vinicolo. Ne sa sicuramente molto di più di tutti quelli di Intravino messi assieme. La volatilità della sua persona rende, però, alquanto difficoltosa l’attività degustativa.

L’assaggiatore che non c’era disdegna banchi eccessivamente affollati, perché sa benissimo che, tranne in casi eccessivamente fortuiti, non verrà mai servito. Nel caso in cui riesca ad avvicinarsi al banco d’assaggio, di fronte allo sguardo perso del produttore, l’assaggiatore che non c’era non parla: a volte bisbiglia, a volte sussurra e più spesso cinguetta. Chiede un vino e gliene viene versato un altro; appena emette una sillaba arriva una comitiva caucasica che lo travolge. L’assaggiatore che non c’era predilige i banchi d’assaggio dove non c’è nessuno, a volte nemmeno il produttore. Oppure quelli dove, se la sua zona corrisponde al vuoto pneumatico, dall’altra vi è una schiera di servitori sufficiente a tenerlo in considerazione. Quando approccia una discussione sul vino in degustazione, le parole migliori che sino ad ora gli sono state rivolte corrispondono più o meno a queste: “Scusi, si potrebbe spostare leggermente che non riesco a vedere la ragazza del banco di fronte?”

Più sovente prevale l’atteggiamento di mimetismo criptico di tipo baseomomorfico, in cui l’assaggiatore che non c’era cerca di assomigliare ad un oggetto inanimato: uno di essi ha raggiunto vette inaspettate quando è stato scambiato per una bottiglia Melchizédec (30 Litri pari a 40 bottiglie) del Prosecco Duca di Dolle.

L’assaggiatore che non c’era prepara accuratamente le visite: contatta amici e produttori ai quali dà appuntamenti immancabilmente a vuoto. La storia narra, grazie ad una mail fortuitamente non cestinata, di due assaggiatori che non c’erano che si diedero appuntamento al Vinitaly, al Padiglione/Hall 12, Stand A5-D6, n. 69, alle 15 in punto di domenica. L’uno dava le spalle all’altro; si telefonarono, ma la rete non prendeva; si messaggiarono, ma uguale a prima. Poi arrivò la comitiva caucasica.

Come un elettrone impazzito, di cui non possiamo sapere con la massima certezza la velocità e la posizione, l’assaggiatore che non c’era è soggetto al principio di indeterminazione: “Ma il semplice guardare, il guardare, cambia il fatto. E tu non puoi sapere cosa sia successo nella realtà o cosa sarebbe successo se tu non ci avessi ficcato il tuo grosso naso. Per cui non ha senso chiederci cosa è successo, il semplice guardare cambia il fatto. Si chiama principio di indeterminazione, sembra un’idea bislacca, ma anche Einstein l’ha presa in considerazione. La scienza. La percezione. La realtà. Il dubbio. Il ragionevole dubbio. Sto dicendo che alcune volte più guardi e meno conosci. È un fatto. È provato e comunque è l’unico fatto appurabile”. (Freddy Riedenschneider nel film L’uomo che non c’era – The Man Who Was’t There – Joel Coen, USA 2001).

[Precedenti puntate: il paranoico, il déjà vuil narciso. Immagine: Bollalmanacco di Cinema].

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

1 Commento

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Bante

circa 10 anni fa - Link

You wanna taste something, you know, scientifically.

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