“Chi cazzo è Germano Celant?”. E già che ci siamo chiediamoci chi sono Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio

di Antonio Tomacelli

La domanda di Vittorio Sgarbi è, chiaramente, retorica dato che Germano Celant non è proprio l’ultimo arrivato tra i critici d’arte. È stato curatore del Guggenheim Museum di New York, direttore della Biennale di Venezia e oggi è il direttore della Fondazione Prada e della Triennale di Milano. Nonostante il curriculum, però, impressionano i sei milioni di euro che Celant spenderà, in completa autonomia, per una mostra sul tema “Food in Art” all’interno dell’Expò 2015.

Di questi sei milioni, pagati dall’ente che organizza l’esposizione (già in rosso per 30 milioni), ben 750.000 euro rimarranno nelle tasche del curatore cui è affidata “l’ideazione, la realizzazione e la curatela totale facendosi carico della macchina produttiva della mostra”.

Insomma, un botto di denaro per qualcosa di poco definito e ancor meno chiaro sul quale Vittorio Sgarbi si è tuffato a corpo morto durante una conferenza stampa della Regione Lombardia.

Ma torniamo alla domanda iniziale, il cui senso reale è: “che titoli ha Celant per produrre una mostra sul Food in Art da 6.000.000 di euro?”. Se diamo ragione a Sgarbi nessuno, ma poi dovremmo farci la seguente domanda: perché la Regione Lombardia ha nominato il critico d’arte “Ambasciatore Expò per i Beni Artistici” visto che l’esposizione mondiale si occuperà essenzialmente di cibo? A occhio dovrebbe saperne di più la Parodi di Sgarbi ma nessuno si è sognato di interpellare la star dei fornelli televisivi.

Già che ci siamo vorrei farla io l’ultima domanda: chi ha dato a al critico d’arte (un altro!) Philippe Daverio l’incarico di consulente per il padiglione Vino dell’Expò 2015?

No, aspetta, non era proprio l’ultima, ne ho ancora un’altra in pieno Sgarbi-style: che cazzo ci fanno tutti questi critici d’arte intorno al piatto di una manifestazione il cui tema dichiarato è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”?

Aridatece Antonella Clerici e Carlo Cracco, e subito!

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Antonio Tomacelli

Designer, gaudente, editore, ma solo una di queste attività gli riesce davvero bene. Fonda nel 2009 con Massimo Bernardi e Stefano Caffarri il blog Dissapore e, un anno dopo, Intravino e Spigoloso. Lascia il gruppo editoriale portandosi dietro Intravino e un manipolo di eroici bevitori. Classico esempio di migrante che, nato a Torino, va a cercar fortuna al sud, in Puglia. E il bello è che la trova.

6 Commenti

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alessandro bocchetti

circa 10 anni fa - Link

Mah, per me la domanda giusta è perché chiamino loro? Meriterebbe un ragionamento, perché in Italia (il paese del cibo e della cultura materiale) non c'è nessuno che abbia un ruolo nella società gastronomica... Rimaniamo separati. Io ieri c'ero, e Daverio ha fatto un simpatico siparietto dove ha mischiato spunti interessati (come la storia del trebbiano romagnolo che nessuno riconosce) a castronerie evidenti (la storia del legno) e banalità da programma tv estivo... E chissà quanto ha preso ;) Ciao A

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michele

circa 10 anni fa - Link

Su Daverio non condivido. Ha avuto il grande merito di saper parlare d'arte (conoscendone a fondo l'argomento a differenza di altri) e di divulgarla in modo chiaro e piacevole anche a chi non ne sapeva nulla. Le trasmissioni fatte sono state esempio di buona tv (e infatti la Rai le ha prontamente fermate) Cosa c'entra con Expo? Philippe è ottimo cuoco, grande appassionato di vino e cucina e certamente è più simpatico di tanti tromboni del vino e del cibo che ancora oggi hanno troppa visibilità (inutile...)

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antonio

circa 10 anni fa - Link

Già che siamo in tema Expò, vorrei capire perchè il potere assoluto di decidere cosa, come e chi a proposito del vino sia stato affidato a Cotarella? Non discuto il professionista, ma è evidente che in questo modo avranno visibilità in un contesto del genere le solite "grandi" aziende dando una immagine del vino Italiano molto lontano da quello che è in realtà, cioè un patrimonio unico di vitigni e vini che non ha pari al mondo. Con tutto il rispetto per i grandi nomi del vino non penso che siano le loro etichette ad esprimere il vero carattere di ogni singolo terroir o vitigno.

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Paolo

circa 10 anni fa - Link

Correggerei un termine, che forse è all'origine dell'equivoco. Daverio _non_ è un critico d'arte. E' un divulgatore dell'arte. Bravissimo, eccellente affabulatore. [E quel signore con il ciuffo non è né l'uno né l'altro, per quanto si affanni a insultare Celant] In parte questo risponde anche ad una domanda che nell'altro articolo si pone Cinelli Colombini: "non potevano trovarne uno altrettanto bravo nel campo vinicolo?" Forse nel campo enologico qualche ottimo divulgatore esiste (io ne ho in mente uno, che sa raccontare in maniera magistrale come pochi la storia di Montalcino...), ma il mondo cui si rivolge l'Expo è così: in realtà vorrebbe comunicare fuori dal suo stretto ambito vinicolo, e per questo rpende un personaggio che gà da solo è capace di catalizzare un pobblico non necesariamente professionale. Sperando che questo apra nuovi spazi _anche_ per i professionisti del settore vitivinicolo

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Pensandoci bene il testimonial del vino italiano, perché di questo si tratta, io non l'avrei cercato tra i nomi noti. Credo che abbiamo bisogno di altro. Quando ero bambino ho visto girare per casa chi parlava di vino allora, ed era gente del calibro di Soldati e Brera; letterati veri che non si occupavano di noi per la pagnotta, ma perché gli piaceva. Con la massima stima per Daverio e Celant, su altro li ascolterei per ore ma una recita enologica "mercenaria" improvvisata sul tamburo non è degna né di loro né del vino italiano. Dal tempo di Omero del vino parlano i poeti, e non è un caso se Veronelli ha lasciato una traccia e Suckling no. Il testimonial andava cercato tra i (non pochi) "letterati mancati" che abbiamo, ragazzi di ottima cultura e buona penna che abbiamo troppo vicini per riuscire a vederli. L'avrei reso famoso con l'evento, invece di cercare uno famoso per far salire l'evento; se n'è provati mille di famosi per vendere il vino, e non ha mai funzionato. PS io sono indigeno dell'isola Toscana circondata dal mare, e non so nemmeno la differenza tra Corvina e Nebbiolo. Impensabile che parli di robe così lontane.

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Eretico Enoico

circa 10 anni fa - Link

In questo caso un assemblaggio invece di un monovitigno sarebbe la scelta più saggia,esperti comunicazione,esperti di antropologia,esperti di arte,esperti di cibo,esperto di agricoltura e naturalmente esperti di vino.Le percentuali di queste uve dipendono dal padiglione e dall'evento interno ad expo.Non decidono gli appassionati e marginalmente gli addetti ai lavori- purtroppo ! In mancanza di Soldati e Veronelli ,personalmente,ritengo che Sangiorgi farebbe decisamente meglio del simpatico Daverio.Duole dirlo,perché monopolistiche, ma in Italia esistono due scuole accademiche specifiche di alto livello con tanto di master per la comunicazione in ambito enogastronomico ed in paese normale( non lo siamo) si dovrebbe pescare in quell'ambito.

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