Certe note di degustazione hanno ragionevolmente rotto le scatole. Il problema è capire quali

di Alessandro Morichetti

Sono nate la notte dei tempi per trasmettere il senso e la forma di un vino, e fin qui tutto bene. Ma voi leggete le note di degustazione? O meglio, facciamoci un esamino: quali leggete e perché vi fidate? Io ad esempio ne leggo moltissime: il 70% è del tutto inutile, inconsistente. Del restante 30%, una parte eccede in lirismo e allontana dalla natura del liquido mentre le restanti sono realmente utili: centrate, mi fanno capire il vino che non ho assaggiato e predispongono ad accogliere qualità o eventuali motivi di osticità. Di degustatori asciutti che non si fanno prendere la mano ce ne sono pochi in giro perché l’equilibrio è delicato: non troppe né poche parole, non troppi né pochi riconoscimenti, le sfumature di sapore nel giusto ordine e non in quello bislacco indicato dalle schede Ais. Che vanno studiate e poi dimenticate quasi completamente, pena l’ignoranza eterna.

Si è occupato dell’argomento tasting notes giusto pochi giorni fa Jamie Goode – blogger e wine writer anglosassone molto rispettato (Wineanorak.com) – nell’articolo “Tasting notes are really bad, aren’t they?“. Trovandolo molto interessante gli ho chiesto se potessi tradurlo in italiano ed ha acconsentito. Ho tribolato perché mastico solo a sufficienza l’inglese quindi leggetelo, manica di scansafatiche, ok?

Le note di degustazione sono davvero una rovina, non è vero? (di Jamie Goode)

Credo di odiare le note di degustazione anche se ne scrivo di continuo. Devo farlo, è una fetta significativa del mio lavoro. Non credo che le mie note siano tra le peggiori in circolazione ma non mi piacciono lo stesso, per tutta una serie di ragioni.

Prima di tutto, molte note di degustazione sono sciocche (silly) e questo perché è incredibilmente difficile descrivere verbalmente le sensazioni che proviamo assaggiando vino. C’è una famosa citazione dal mondo della musica, attribuita a un certo Martin Mull: “Scrivere di musica è come ballare di architettura” (‘Writing about music is like dancing about architecture’: informazioni ulteriori sulla citazione qui). Lo stesso si potrebbe dire per chi scrive di vino o per l’esperienza di assaggiare vino. È un’attività astratta.

In secondo luogo, le note di degustazione sono inaccessibili alle persone normali. Penso che le persone normali trovino le note d’assaggio decisamente strane e inaccessibili. Il risultato? Le note di degustazione allontanano la gente dal vino.

Collegato a questo: terzo, le note di degustazione sono per la maggior parte troppo elaborate, eccessivamente dettagliate. In quanto tali, intimidiscono le persone normali, che in qualche modo percepiscono di vivere un’esperienza “diminuita” poiché non riescono a percepire in un vino tutti i descrittori esotici descritti da un giornalista. Giornalisti e critici del vino sembrano sentire il bisogno di far sentire importanti e nobili le loro descrizioni usando termini esotici e ricercati. In realtà le persone faticano a trovare più di due odori in un miscuglio di laboratorio. Io penso che molti wine writers siano un bluff quando scrivono le loro note, oppure non riescono ad essere onesti con se stessi su ciò che stanno realmente vivendo.

Quarto: il linguaggio che abbiamo per il vino è più un codice appreso che non una descrizione accurata di cosa proviamo degustando un vino. Quando ho iniziato a verbalizzare le mie esperienze con il vino, mi sono dovuto sforzare. Sono migliorato dopo aver appreso il codice, leggendo molte altre note di degustazione di vini simili.

Quinto: le note di degustazione tendono ad essere riduzioniste. Dividiamo il vino in componenti separate e le descriviamo. Questo è un errore in quanto ci dimentichiamo che il vino è un intero. A meno di non badare alle proprietà globali di un vino – considerato nella sua totalità – rischiamo di non comprenderne l’essenza, e le nostre note finiscono per non avere molto senso.

Attenzione, non sto sostenendo di abbandonare del tutto le note di degustazione. Hanno la loro utilità. Di certo non voglio che torniamo alle descrizioni di poche parole delle elite inglesi: good body, tight finish, nice breeding. Credo però che dovremmo esaminare noi stessi: come possono i nostri appunti essere più utili e onesti? Come possiamo fare meglio?

Jamie Goode 

Ora, le note di degustazione di Robert Parker o del Wine Spectator (quindi parliamo del versante yankee) sono mediamente una rottura di palle monumentale che se non ci fosse il punteggio non le filerebbe nessuno, ma insomma non è che le elite inglesi di cui sopra abbiano partorito granché di meglio. Per quanto poi il senso generale magari arrivi forte e chiaro: “Good colour; gloriously fragrant, sustained Pinot bouquet, sweet, super balance. Last tasted April 1998 ***** Plenty of life left” (ovvero La Tache 1971 DRC come lo racconta Michael Broadbent con stile asciutto, quasi stitico, su Pocket Vintage Wine Companion).

Ora che ci penso, però, una soluzione c’è: se iniziassi a ballare le note di degustazione sareste tutti più felici.

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

10 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 9 anni fa - Link

Giusta la nota finale di Alessandro. Le note di degustazione hanno cominciato ad agonizzare quando sono nati i punteggi. Si leggono solo quelli, soprattutto nel mondo anglosassone. O almeno, solo quelli rimangono impressi e determinano la scelta del consumatore finale. Questo non vuol dire che le parole scritte a corredo dell'assaggio di un vino siano inutili. Va comunque giustificato da parte di chi ha assegnato un 90 e più o un 89 e meno perché lo ha fatto. Dipende da quanto tempo vogliamo dedicare alla lettura di un elenco dei vini. Un po' meno di prolissità e di sfoggio erudito gioverebbe, soprattutto a vantaggio della lingua italiana.

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vinogodi

circa 9 anni fa - Link

...qualche contraddizione la noto , cercando di spiegarmi in maniera la più caotica e criptata possibile: come se un bravo meccanico si sentisse meno bravo perché nella sua officina non lo caga nessuno mentre i meccanici della Ferrari sono sempre, o molto, inquadrati dalle televisioni di tutto il mondo , quindi meglio apprezzati nel loro lavoro, quindi anche dove si scrive ha la sua importanza. Chi prova a scrivere di vino, per primo deve leggersi, pena gli eccessi così bene descritti dal Morichetti. Inoltre, indipendentemente da stati di frustrazione personale da sottoesposizione, il professionista dello scritto corre gli stessi rischi del critico enoico, quello di sottostare al giudizio altrui , perché non è il solo a bere quei vini e , soprattutto, ormai è finita, con il web, l'era della comunicazione verticale , la trincea estrema del soggettivismo empirico dove arrampicarsi nel caso di epici abbagli da degustazione nevrotica (facendo parte per lustri di una nota commissione di una nota guida, l'orrore veniva spontaneo nell'autoreferenziarsi dopo millanta assaggi in unità di tempo demenziali garantendo lucidità per tutto ciò che quella commissione partoriva) . Sta di fatto che ogni fruitore , nei confronti del commento ad un vino, ha delle aspettative in parte disattese in parte soddisfatte a seconda dello stile "letterario" dello scrivente. Dove si eccede in lirismo, enodabbenaggine, arzigogolismo o stile che spazientisce chi legge, si passa all'elemento di sintesi (voto, faccine, grappoli, bicchieri ecc.), che è sempre ben accetto e auspicato , perché non è solo una sintesi di quanto effettivamente vale quel vino ma proprio perché è una decodifica dei concetti espressi nel giudizio in prosa dallo scrivente in maniera non palesemente interpretabile. Non è solo una prerogativa anglosassone, tranquilli, " l'elemento di sintesi" interessa anche agli italiani...

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Baser

circa 9 anni fa - Link

Bell'articolo. Grazie, AM, per avercelo proposto. Tribolare con 'sto caldo non deve esere stato facile. Il risultato, però, è encomiabile. Come suggerito dal Morichetti, ho letto anche l'originale, e a mio avviso c'é un'unica, lieve imperfezione. JC scrive: "Unless we look at the global properties of a wine – considering it in its entirety – we usually fail to capture its essence, and our notes don’t really have much use". Credo che una traduzione migliore possa essere: "A meno di non badare alle proprietà globali di un vino – considerato nella sua totalità – rischiamo di NON comprenderne l’essenza, e le nostre note finiscono per non avere molto senso." Scusate la pignoleria / pignolaggine /pignolanza. Hai ragione, correggo la distrazione ché così in effetti non avrebbe senso.

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davide

circa 9 anni fa - Link

si ma almeno questo wine blogger poteva mettere una foto in cui non impugna il bicchiere come un camionista

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ValerioC

circa 9 anni fa - Link

È da tempo che anche io lo sostengo, e devo dire che sia con la mia esperienza di sala e sia con la modestissima cerchia dei goliardici Bevitori Indipendenti, ho riscontrato il netto piacere delle persone nel voler parlare e sentir parlare di Quel vino, di Quel produttore, di quella Storia di Quel territorio, piuttosto che di volatile, di malolattica, di prugne del Madagascar o Ciliegie della Lettonia. Condivido che spesso, causa linguaggi poetici e degustazioni che sembrano racconti di Gianni Rodari, gli avventori spesso si allontanano da una degustazione chiedendosi: c'era un bellissimo profumo di rosa canina ma che vino era????

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ValerioC

circa 9 anni fa - Link

E qui scocco la freccia...credo sia importante oggi, per le persone di Sala (e non solo), sapere di vino come sapere di Storia e di Geografia, come conoscere il pensiero del produttore, oppure la tipologia di lavorazione che è stata adottata. Raccontare un vino, soprattutto se si deve servire ad un tavolo o se si deve parlare ad una platea, vuol dire farlo piacere o destar curiosità, già prima di stapparlo, con una delucidazione sul sapore che troverà in quella bottiglia o magari due nozioni sul vitigno utilizzato, Senza far subire gli splendori dei tastevin o spillette varie come fossero dei graal inarrivabili! ...sappiamo che la passione a volte porta più avanti di qualsiasi riconoscimento! Poi per carità, le note tecniche sono utili ma, le lascerei agli operatori del settore!

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carolaincats

circa 9 anni fa - Link

io credo che la nota, una qualsiasi nota, abbia senso se si conosce il produttore, l'azienda, il territorio ecc. sennò è il punteggio della maestra per la pagellina. a me non piaceva ai tempi della scuola, pensa te adesso.... comunque conosco jamie e quando scrisse del mio raboso mi mandò mail per chiedermi di tutto... io che non conosco l'inglese sono riuscita a spiegargli abbastanza bene che quando ci siamo conosciuti di persona a londra mi ha anche detto che secondo lui mi facevo capire.ero quasi più onorata del mio schifoso inglese che del vino :)

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Gianluca Zucco

circa 9 anni fa - Link

Dipende per chi si scrivono. Se le devo scrivere per me - nella maggior parte dei casi - utilizzo ciò che mi resta in eredità del corso AIS, customizzato con qualcosa che successivamente stimoli il mio ricordo inerente ai fattori analitici e soprattutto emozioni provate nel momento di degustare, che grazie a dio sono ancora, le emozioni, ciò che più mi affascina nel mio rapporto col vino. Se devo scriverle per chi non possiede le mie basi (calma, non ci allarghiamo...), cerco di essere sintetico e soprattutto emozionale, di modo a stimolare l'interesse inerente all'esperienza del bere tale vino da parte di chi eventualmente (sottolineato) debba leggerle, sennò il poveraccio abbandona al terzo descrittore per lui astruso, e non tornerà mai più a leggere quel saccentucolo di Gianluca quando parla di vino. Se un giorno mi capiterà di scriverle appena per chi ci capisce, eviterei di andare oltre le 3 righe, così come l'abuso di un linguaggio eccessivamente simbolico, a cui alcuni ricorrono nel vano tentativo di distinguersi dalla media; cercherei di offrire una dose sufficiente di possibili analogie o discrepanze inerenti alla tipologia, zona, produttore o annata del vino oggetto della mia analisi. Che in fin dei è ciò che cerco quando leggo delle note, delle basi per sapere se quel vino può essere meritevole (indipendentemente dalle sue doti oggettive) delle mie attenzioni. Le emozioni sono troppo soggettive e circostanziali per permettersi di condividerle con un pubblico tecnico, anche se vien voglia, lo so, ma se lo possono permettere davvero in pochi.

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Manuela Bejan

circa 9 anni fa - Link

Un po di sincerità non guasta mai. ...

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Emanuele

circa 9 anni fa - Link

È giusto ballare le note di degustazione, anzi giustissimo. E coerente. Credo che Mull non abbia mai letto Ball, Fayenz, Bollati, Bahrami, Pappano o visto il film di/con Nick Cave

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