Birra del Borgo tra artigianalità, indipendenza, vini naturali

Birra del Borgo tra artigianalità, indipendenza, vini naturali

di Jacopo Cossater

E insomma come sapete la notizia più importante di questi giorni, quella che segna un prima e un dopo, è stata l’acquisizione da parte del più grande gruppo produttore di birra del mondo -si chiama Anheuser-Busch InBev- di Birra del Borgo, il birrificio laziale di Leonardo Di Vincenzo nato nel 2005. Si tratta della prima operazione in Italia di questo tipo e dopo i tanti commenti letti in giro nelle ore e nei giorni immediatamente successivi riuscire a farsi un’idea precisa delle sue implicazioni non è stato credo facile per nessuno. Qui è dove cerco di mettere in fila un paio di cose, fatti e considerazioni (la parte sul vino è alla fine).

Per dire: un’operazione di questo genere credo sia prima di tutto la dimostrazione dello straordinario valore di uno dei più rappresentativi birrifici italiani, simbolo mai come in questo caso della qualità di un bel pezzo della produzione tricolore. Bravi? Bravi. Al tempo stesso la strategia è chiarissima: comprare è più semplice che imitare. In Europa l’acquisizione di Birra del Borgo si affianca a quella di Camden Town Brewery, uno dei birrifici che hanno fatto la storia del movimento craft inglese. Per non parlare poi degli Stati Uniti, dove lo shopping di AB InBev è ormai cosa radicata: Devils Backbone Brewing è solo l’ultima in termini di tempo. Qualche numero, ce ne fosse bisogno: negli Stati Uniti, il mercato più maturo, quello della birra artigianale è il segmento con maggior crescita, vale 22 miliardi di dollari (!) e cresce di anno in anno a doppia cifra (!!).

Da queste parti nel frattempo la definizione ufficiale di birra artigianale sembra essere davvero cosa (quasi) fatta. Questo il testo già approvato alla Camera: “si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione (..) si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200mila ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi”. Una definizione che non è poi così lontana da quella americana: piccolo (beh, qui ci sarebbe da discuterne), indipendente, tradizionale.

Manuele Colonna del Ma Che Siete Venuti A Fa’: “Sulla Birra del Borgo acquisita da InBev faccio i migliori complimenti al mio amico Leo (..) è ovvio comunque che in nessuno dei miei locali, per la solita fottuta “filosofia” lavorativa che solo a noi vecchi appartiene (ma che vedo felicemente sposata anche dai colleghi più giovani), la Birra del Borgo potrà essere servita in futuro.

Jean Van Roy di Cantillon: “Brewery Cantillon has fought for decades to promote and preserve traditional Lambic production. When big Belgian companies produced only industrial Lambic, my parents, Claude and Jean-Pierre, were almost alone to continue to produce this amazing beer in a natural way. Today real Lambic is playing an important role again, and we have to stay alert. For this reason, I decided to cancel the participation of Del Borgo at the next Cantillon Quintessence.

Domus Birrae: “In base alle notizie che annunciano l’acquisizione da parte di una grossa multinazionale di Birra del Borgo vogliamo comunicare a tutti i nostri clienti e partner che Domus Birrae ha deciso di non distribuire più il suddetto birrificio (..) Domus Birrae non può in alcun modo venire meno alla filosofia che ci ha contraddistinto in tutti questi anni, quella di valorizzare la piccola ma importante realtà birraria italiana, fatta di continua ricerca, tanto sudore e poesia. La paura è che un colosso possa alterarne gli equilibri, e per questo sentiamo la necessità di tutelare i nostri partner, i pub, beershop, ristoranti che ogni giorno ci rinnovano la fiducia.

Jean Hummler di Moeder Lambic: “Certo che è ideologia. L’ideologia è l’unica arma che abbiamo in una situazione simile dove ci confrontiamo con aziende che fatturano in un’ora quello che noi fatturiamo in un anno e che possono comprare il sentimento delle persone e gli articoli dei giornalisti.”

Dall’altra parte, sulle barricate, Leonardo Di Vincenzo (nel nuovo ruolo di amministratore delegato di Birra del Borgo) che l’altro giorno ha prontamente organizzato uno streaming per rispondere in diretta alle tante domande di clienti e di appassionati. Parole chiave: rimarremo qui, rimarremo indipendenti, guarderemo sempre di più alla qualità.

Concetti ribaditi da Simon Wuestenberg, Country Director di AB InBev Italia, che ha commentato (dal comunicato stampa): “Siamo stati molto colpiti da quello che Leonardo e il suo team hanno costruito a partire dal 2005. Loro sono stati in prima linea nel ridefinire il concetto di birra in Italia, portando un mix unico di ispirazione, innovazione, qualità e coerenza. La visione di Leonardo sulla birra e la sua passione saranno una grande ispirazione per tutta la nostra squadra e siamo tutti molto entusiasti di collaborare e crescere insieme. Come player in crescita sul mercato italiano, abbiamo sviluppato con successo il nostro business con un grande portfolio di brand premium e speciali negli ultimi anni. Oggi il nostro portfolio diventa ancora più forte grazie ad alcuni dei migliori brand Made in Italy”.

Su Facebook commentavo la cosa scrivendo che “quando capiranno che anche in un certo vino è necessario prendere decisioni nette (e probabilmente sofferte) sarà forse troppo tardi”. Il riferimento era chiaramente al mondo del vino naturale e a tutte le sue difficoltà nel porre dei confini precisi tra ciò che è e ciò che non è naturale. Quest’anno a Villa Favorita -durante la consueta riunione dei produttori- Angiolino Maule ha annunciato la bozza di quello che diventerà il primo disciplinare di questo tipo in Italia. Un vero e proprio insieme di regole legate a pratiche agricole e di cantina a cui tutti gli associati di VinNatur dovranno necessariamente aderire, pena l’esclusione dall’associazione. Non una vaga autocertificazione ma un impegno caratterizzato da controlli portati avanti da un ente terzo. Come forse era prevedibile la platea si è divisa in due: da una parte chi considera questo disciplinare troppo rigido e dall’altra chi troppo largo, fatto di eccessive concessioni. Vedremo, entro pochi mesi si dovrebbe arrivare al dunque e sarà divertente confrontare la lista dei vignaioli presenti a Vicenza quest’anno con quella del prossimo. Qui si prevedono grossi cambiamenti.

Pensando ai primi -a chi vuole essere più libero possibile- è evidente quanto il mondo dei vini naturali italiani in questi anni abbia vissuto enormi contaminazioni in un contesto dove è sempre bastato farsi vedere a questa o a quella manifestazione per definirsi come tali. Di ritorno da Roma, dalla manifestazione di Tiziana Gallo, o da Londra, quella di Isabelle Legeron, la sensazione era sempre la stessa, quella di avere a che fare con dei confini capaci di sfumare con particolare facilità. È qui che il sottoscritto guarda con particolare stima al mondo della birra artigianale, così ben delineato da riuscire a prendere posizioni che nel vino sarebbero impossibili. Per quanto sia chiaro: tanto naturale quanto artigianale sono termini che per loro stessa natura sono destinati a sfumare sui bordi, e questo è un aspetto che fa inevitabilmente parte della loro bellezza. Indipendente, invece, è chiarissimo.

[immagine: Dissapore]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

16 Commenti

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Emanuele

circa 8 anni fa - Link

Sor Jacopo, questo è proprio un bell'articolo.

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Jacopo Cossater

circa 8 anni fa - Link

Grazie, grazie mille Emanuele.

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robimaio

circa 8 anni fa - Link

Mi sembra di capire che si tratta di soldi, non di bontà della birra. Si sa a quanto è stata venduta?

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Jacopo Cossater

circa 8 anni fa - Link

Esatto, la qualità non è in discussione: esistono pessime birre artigianali e potenzialmente ottime birre industriali. Comunque no, per rispondere alla tua domanda (ma è così importante?).

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Luca Miraglia

circa 8 anni fa - Link

"Indipendente, invece, è chiarissimo." Ecco, questo è il punto: "indipendente" è il vignaiolo che, a tutti i costi, vuole mantenere intatto (ed a nessun prezzo passibile di valorizzazione commerciale) il contatto con la sua terra, le sue viti, le sue albe in vigna, le grandinate così temute in prossimità della vendemmia, i cinghiali da cui difendersi, le fermentazioni che non partono per il freddo, la malolattica che ritarda ... e mi fermo. Queste cose, per i vignaioli indipendenti, sono una componente essenziale dell'esistenza, e può essere venduta l'essenza dell'esistenza? La birra no, non ha nulla di ciò che ho detto, ed il sig. Leonardo Di Vincenzo ha fatto benissimo a diventare AD di Birrificio del Borgo. Sono due mondi abissalmente diversi, Jacopo, questo è il punto.

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Jacopo Cossater

circa 8 anni fa - Link

Non so Luca, il mio pragmatismo mi porta a vedere le cose in maniera molto diversa o forse fatico a cogliere il punto. Di casi di cantine vendute ad altre cantine se ne contano molti, come te lo spieghi? Certo è che al netto del processo produttivo (tema non centrale, anche se credo richieda molta più preparazione produrre una grande birra che un vino qualsiasi) ogni azienda creata dal nulla, come BdB, credo abbia un enorme valore affettivo per il suo fondatore a prescindere da cosa produca, non sarei così drastico quindi.

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damiano

circa 8 anni fa - Link

Sicuramente il paragone calza male. Chi fa birra non coltiva il suo orzo, ne lo malta, il luppolo, non esegue fermentazione spontanea ( le norme italiane non ammettono nemmeno le fermentazioni a vasca aperta ), i parametri per definire il craft indipendente sono limitati. Nel vino si dovrebbe partire dall estensione delle vigne ma chi stabilisce che 5ha in valtellina sono molti e in toscana pochi ? Magari a barolo e montalcino campi con 3ha mentre in altri posti ? Ripeto: manca la componente agricola che è forse la parte più frastagliata ma maggioritaria. Anche se la birra craft è ormai moda( e fa trendy parlarne)non facciamo paragoni a tutti i costi.

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Jacopo Cossater

circa 8 anni fa - Link

Grazie Damiano, nel vino comunque mi sembra che la definizione della FIVI sia quanto mai chiara. In breve (sintesi mia): La FIVI raggruppa viticoltori che soddisfano i seguenti criteri: • Il vignaiolo che coltiva le sue vigne, imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. • Il vignaiolo rinuncia all'acquisto dell'uva o del vino a fini commerciali.

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damiano

circa 8 anni fa - Link

Ok. Quindi in trasposizione alla birra: fuori tutti. (Materie prime acquistate). Qualsiasi cosa si dica il paragone è improprio; il craft nell ultimo decennio si è sbranato una fetta consistente di mercato in tutto il mondo. La tendenza procede. Quella manciata di multinazionali che controllano il tutto non sono disposte a cedere il diciamo 30-40% del mercato a svariate migliaia di microbreweries quindi se li comprano e magari incrementano le vendite ma in qualche modo guidano quindi non sei più indipendente.

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Jacopo Cossater

circa 8 anni fa - Link

Damiano il tema della materia prima è del tutto OT, nella birra è per sua natura diversa rispetto al vino. L'indipendenza quindi ha a che vedere con la proprietà, prima di tutto.

Qualsiasi cosa si dica il paragone è improprio
E comunque: felice tu abbia le idee così chiare ;)

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Nelle Nuvole

circa 8 anni fa - Link

Mi ritrovo nei commenti di Luca Miraglia e Damiano, però c'è anche altro nel post di Jacopo, forse inconsapevolmente. Si tratta della risposta dei distributori/ consumatori/amatori, l'indipendenza della scelta ribadita senza acrimonia.Ora appartieni ad un gruppo multinazionale e anche se sarai autonomo nel tuo essere "gestore" della produzione non sarai più il proprietario? Capisco tutto, ma non ti voglio più. Questo nel mondo del vino non avviene, o avviene assai di rado.

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Jacopo Cossater

circa 8 anni fa - Link

Grazie NN, in effetti quello che sottolinei era tutt'altro che inconsapevole ma anzi centrale nel porre la questione vino/birra, soprattutto nella percezione dei confini citati.

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Luca MIRAGLIA

circa 8 anni fa - Link

Mi fa piacere constatare che il "focus point" che cercavo di sottolineare, cioè che il mondo del vino e quello della birra non sono confrontabili, sia stato sostanzialmente condiviso, soprattutto da commentatori che leggo e stimo molto come NN. A proposito, Jacopo, sono un produttore FIVI e, quindi, magari mi sono accalorato un pò troppo!

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Federivo

circa 8 anni fa - Link

OT, ma non del tutto: pronostico entro 10 anni il ritorno di Leonardo Di Vincenzo tra i produttori indipendenti.... con un nuovo birrificio. :-)

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Ginetto

circa 8 anni fa - Link

@jacopo se leggi lo statuto della Fivi (sul loro sito) chiarisce che puoi far parte della Fivi se compri il 49% delle uve.Per chiarezza.

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Luca Miraglia

circa 8 anni fa - Link

@ Ginetto: mi trovo costretto, da vignaiolo Fivi, ad una precisazione riguardo alla tua affermazione "puoi far parte della Fivi se compri il 49% delle uve": tale affermazione è inesatta e fuorviante, in quanto in nessun punto dello Statuto Fivi si rileva un concetto del genere. In dettaglio: all'art. 3 "requisiti dei soci" si precisa che possono far parte dell'Associazione "le aziende vitivinicole ...che comunque sono definibili aziende agricole ai sensi della legge". D'altra parte, è del tutto ovvio che un quadro normativo di riferimento bisognava pur darlo, sia pure in un contesto di tipo associazionistico su base volontaria. Per converso, in più parti del sito Fivi viene rivendicato quale punto essenziale e, direi, di orgoglio il concetto della filiera integrata dalla produzione alla vendita: ad esempio, nelle "norme di utilizzo del logo Vignaioli Indipendenti ", l'art. 4 prevede - questo sì espressamente - che "il vignaiolo deve coltivare le sue vigne; raccogliere e vinificare la sua uva; maturare il vino nella propria cantina ...e commercializzarlo direttamente". Ancora: nel "chi siamo" del medesimo sito è specificamente evidenziato che "il vignaiolo rinuncia all'acquisto dell'uva o del vino a fini commerciali"; più chiaro di così!

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