Assaggi casuali ad una fiera randomizzata con fondamentali considerazioni a margine

Assaggi casuali ad una fiera randomizzata con fondamentali considerazioni a margine

di Fiorenzo Sartore

Non sono le gonne corte delle signore in scooter. Non sono gli ombrelloni improvvisamente allineati sul lungomare. Non è il ventilatore che estrai dalla cantina, dove ha trascorso l’inverno. Il segno dell’estate che arriva sono le microfiere locali del vino che punteggiano l’agenda digitale degli “eventi” su Facebook come una fioritura estemporanea. Tra maggio e giugno c’è ogni genere di fiera e fieretta in grado di attizzare l’enofilo più distratto. Ci sono quelle grandi e quelle piccole, e quelle piccolissime e di quartiere.

Per esempio a Genova questo fine settimana che si approssima c’è Terroir Vino (e a proposito io sono lì sia domenica che lunedì). Qualche giorno fa a Chiavari c’era “Vino naturalmente vino”, il tipo di microrassegna che dura una giornata, in una struttura quasi all’aperto. La cosa è curata da un amico, alla rassegna partecipano svariati amici, alcuni di questi amici sono miei fornitori, quindi diciamo che a causa del conflitto di interessi che come sanno pure i sassi ci affligge il post finisce qui.

(Ci hai creduto eh? E invece no. Ecco un po’ di assaggi che ho fatto).

Che poi, diciamolo: fa caldo. Organizzare fiere a questa stagione è una roulette russa, prepari sei mesi prima l’evento, e non sai mai se sarà quel frescolino tipo primavera oppure se arriva la botta torrida di inizio estate. L’altroieri a Chiavari era la seconda che ho detto. E allora ti va bene se sei sotto un tendone all’aperto, se c’è ghiaccio in abbondanza per favorire il servizio, e tutte quelle robe lì.

Un po’ il caldo, un po’ il caso, comincio con un paio di bianchi. Che curiosamente sono accomunati dal vitigno, il cortese del Piemonte. Storicamente il cortese è un vitigno con scarso appeal, se facciamo eccezione per l’area di Gavi dove genera una DOCG gloriosa. Nel resto del Piemonte associamo spesso il cortese ad un bianco poco attrattivo. Io però sono fedele ad una certa idea personale, per la quale quando il vignaiolo si ritrova con un’uva non modaiola, si dannerà l’anima per tirare fuori qualcosa di significativo, quindi parto da lì.

L’azienda che porta il nome di Albino Rocca è famosa per i suoi Barbaresco. Può sembrare strano parlare del suo cortese ma appunto, io sono strano. Già il loro Langhe Chardonnay 2013 si annunciava trionfante di profumi butirrosi-eppur-minerali, quindi s’è cominciato bene. Ma quel Cortese Piemonte 2013 La Rocca, quattro mesi di legno ben esausto, è stato rilevantissimo: naso complesso, importante (insomma, ho pensato a certi trebbiano seri, per dire), in bocca è aggraziato e vaniglioso. Ha solo due difetti: un prezzo purtroppo all’altezza del livello qualitativo, sui 18 euro in enoteca, e la produzione omeopatica, ergo fate in fretta. Barbaresco peraltro tutti encomiabili. [Sito aziendale].

Di cortese in cortese ho trovato molto centrato quello di Cascina Boccaccio, del quale sono già fan per il suo Dolcetto di Ovada. Il Cortese 2011 ha una vena aromatica fine, è ben eseguito e in bocca finisce morbido ed equilibrato: se considerate che in enoteca starebbe poco sopra i cinque euro la bottiglia, capite qual è un altro punto forte di quel bianco. Di Boccaccio però voglio segnalarvi un altro vino estivo, il suo Rosé 2012 da uve dolcetto, che si conferma una delle bevute rosa del cuore: ampio al naso, aggraziato in bocca, ormai una certezza; sui nove euro in enoteca. [Sito aziendale].

E a proposito di dolcetto: una piccola rivelazione, per me, è il Monferrato Dolcetto 2012 Spaccavetro dell’Azienda Agricola But: ottimissimo naso composito, in bocca spiazza per i tannini felici che rendono il rosso ultra goloso. Sotto i dieci euro in enoteca. [Sito aziendale].

Un’altra azienda che finora conoscevo solo di fama è Vetua. Questa ha circa mezzo ettaro nelle Cinque Terre, ma il bianco che presentava non poteva esibire né denominazione né annata (2013) in etichetta, in quanto vino da tavola. Scopro che nella vendemmia precedente il loro Cinque Terre era stato dichiarato rivedibile dalla commissione per la DOC a causa del colore troppo carico. Pur di non fare interventi sul colore il produttore si era rassegnato alla bocciatura nel 2012, e per la vendemmia successiva nemmeno ci ha provato a mandarlo in commissione, si è auto-bocciato. Questa vicenda ha generato qualche immaginabile discussione su Facebook, e da parte mia non posso che ripetere quanto ho affermato in quella conversazione: in definitiva è una perdita per il prestigio della DOC stessa. Il concetto di qualità legato a quello di denominazione di origine è in generale problematico, ed è un vero peccato; discorso vecchio, e quasi impossibile da risolvere. Chi ci perde è il cliente, se e quando è convinto che DOC sia sinonimo di qualità. Ciò detto il bianco no name no vintage di Vetua era sapido, salino, insomma tipicamente ligustico, una gran bell’assaggio. Del Cinque Terre come lo conosciamo conserva il prezzo, poco sotto i venti euro in enoteca. [Sito aziendale].

A conclusione della storia non posso lasciare fuori un assaggio stranoto ai più, ma che mi consente di finire in dolcezza: Ca’ d’Gal presentava un paio dei suoi Moscato d’Asti Vigna Vecchia: un vino che nella maturità raggiunge vette di estasi sublime, tali da consentire visioni mistiche all’assaggiatore. A me è capitato con la loro vendemmia 2006. Certo, costa sui quaranta euro in enoteca, ma fare quattro passi in paradiso restando tra i vivi può avere il suo prezzo. [Sito aziendale].

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

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