Alla Social Media Week di Milano si è parlato anche di vino

Alla Social Media Week di Milano si è parlato anche di vino

di Jacopo Cossater

Inizio questo post comodamente seduto sul Frecciarossa che da Milano mi sta riportando verso l’Italia Centrale, nella borsa un bel pacchetto di esperienze, amici nuovi e ritrovati, un po’ di spunti su cui ragionare nelle prossime settimane. Occasione di questa (breve) trasferta la Social Media Week, evento che si svolge in diverse città del mondo e che – riporto direttamente dal sito – “condivide le migliori idee, i trend più importanti e le news imperdibili relativamente ai social media e alle tecnologie che stanno cambiando la società e la cultura in tutto il mondo”. Quest’anno poi, per la prima volta, un’ampia parentesi dell’edizione milanese era dedicata non solo all’enogastronomia in generale ma anche al vino e a tutto ciò che nel digitale gli ruota intorno. Nello specifico quattro i panel cui, tra moderatore e relatore, ho partecipato: dal ruolo di Twitter nella comunicazione del vino fino a quello dei social media in generale, in Italia e all’estero, e al loro impatto sui maggiori canali di vendita, e-commerce compresi.

La primissima impressione è che dopo anni di sperimentazioni e di tentennamenti anche il vino abbia tirato fuori la testa dalla sabbia riuscendo a raccontarsi con dinamicità e autorevolezza. Sembra passato un secolo da quel Media 140 Food&Wine durante il quale per la prima volta si iniziava a ragionare su questi argomenti, Facebook stava cominciando la sua cavalcata e il funzionamento di Twitter ogni volta andava spiegato da zero. Un mondo del vino che in pochi anni da questo punto di vista è cresciuto moltissimo, in quantità e in qualità, ma che ha ancora ampi margini di miglioramento. Provate a fare un giro, là fuori: la rete è ancora piena zeppa di cantine dalla grandezza tutt’altro che trascurabile i cui siti sono aggiornati a – non so – il 2012, sprovviste di profili sui maggiori social network, che vivono la propria presenza online come una seccatura per certi versi dovuta e non come una straordinaria opportunità di comunicazione.

Introduzione necessaria.Jacopo Cossater

Riuscire a riassumere l’enorme quantità di cose emerse durante i vari panel richiederebbe uno spazio forse eccessivo, ecco quindi alcuni degli spunti che mi sono sembrati più centrali, con un grande grazie a Paola Sucato per l’attenzione nei confronti di questi temi, era da tempo che il vino italiano aspettava un palcoscenico così importante su cui raccontarsi.

  • Facebook, Twitter, Instagram sono i social network più presidiati dalle cantine, e di gran lunga. Esistono delle eccezioni ma sono, appunto, delle eccezioni. Al di là del mezzo utilizzato i social non possono essere delle entità a sé stanti, scollegate dalla quotidianità del proprio lavoro. Straordinario in questo senso l’esempio di chi ha raccontato che la grande maggioranza dei suoi follower è rappresentata da persone che sono state fisicamente in cantina e che successivamente hanno deciso di voler rimanere aggiornate sulle sue attività.
  • Per dire, non segnali a chi ti viene trovare la tua pagina su Facebook o il tuo profilo su Twitter? Non chiedi loro di lasciarti un indirizzo email? Non hai mai pensato a una newsletter? Ok, sappi però che lo stai facendo nel modo sbagliato.
  • Territorio, territorio, territorio. Io sono il primo a interrogarmi sulla sostenibilità a lungo termine di una comunicazione che parla sempre e solo di territorio. Però, insomma, a parte casi di posizionamento del tutto diverso, di vini cioè la cui componente territoriale è davvero marginale, sono sempre i più bei contenuti legati al territorio quelli a generare l’engagement maggiore. Che ci volete fare, con una buona macchina fotografica la natura sa essere bellissima.
  • Twitter è ancora centrale nelle conversazioni del vino? Sì e no. Da una parte esistono paesi con una comunità ancora straordinariamente attiva, e per una cantina può essere comodissimo riuscire a entrare in contatto con una persona, influencer (ci torno tra poco) o meno, proprio con un tweet: il più immediato, veloce, comodo degli strumenti sociali a disposizione. Non solo, la timeline di Twitter è uno fedele strumento attraverso il quale continuare a costruire la propria identità di marca, un flusso costante di parole e immagini attraverso i quali raccontarsi, al di là del numero dei propri follower o del numero di engagement. Al tempo stesso è innegabile che alcune conversazioni si siano spostate altrove, e che la vera sfida per le pubbliche relazioni sia quella di riuscire a intercettarle con la migliore efficacia possibile.
  • Un esempio? Vivino. Quante sono le cantine che tengono sotto controllo le recensioni dei propri vini? Ecco, parliamone. Vivino in Italia ha superato lo sbalorditivo numero del milione e quattrocentomila download. Di tutte queste persone circa il 60/70% è un utente attivo, ovvero una persona che accede all’app almeno una volta al mese. È notizia recentissima la nomina di un country manager per l’Italia, persona che nei prossimi tempi si occuperà dello sviluppo del suo business attraverso accordi sia con le cantine (per una forma di vendita diretta attraverso l’app) sia con i principali e-commerce di settore, molti già presenti su Vivino. In breve: mi piace un vino, lo recensisco al volo su Vivino, lo vedo a un prezzo vantaggioso, lo compro. Tutto in uno o due clic, soprattutto senza mai abbandonare l’app.
  • Snapchat non solo ha appena scalzato Twitter per numero di utenti giornalieri, ad aprile 2016 negli Stati Uniti è risultato come il secondo social più diffuso per tempo medio di utilizzo da smartphone, dopo Facebook. Tutti ne parlano ma ancora nessuno ha capito bene come utilizzarlo per le proprie pubbliche relazioni. Io nemmeno, l’unica cosa certa al momento è che Snapchat non va spiegato, va usato. È divertentissimo.
  • Le dirette sono uno straordinario strumento per raccontare i propri vini a un certo numero di persone. Da Periscope al più recente Facebook Live, lo strumento è davvero immediato per organizzare degustazioni a distanza, per fare formazione o anche solo due chiacchiere con il proprio pubblico. È fenomeno in crescita: broadcast yourself.
  • I sistemi di messaggistica instantanea sono destinati a imporsi come standard per un sacco di cose, perché intanto non segnalare sul proprio sito che per qualunque informazione si è sempre disponibili anche su WhatsApp? Così, per iniziare.
  • Gli influencer, persone che hanno cioè molto seguito su una o più piattaforme, possono essere molto utili per diffondere il proprio messaggio. Io ero un po’ scettico ma più di un’importante cantina mi ha confermato il contrario. Importante è che non si tratti di un contatto una tantum ma che con i propri influencer si instauri un rapporto duraturo, di fiducia reciproca.

Stevie Kim

In tutto questo c’è poi un altro elemento da tenere sempre in considerazione, splendidamente riassunto da Emanuela Marchiafava su Il Post proprio ieri: il rischio cioè di prendere il vino troppo sul serio. Scrive Emanuela:

Col vino invece temiamo di fare la figura di chi non ci capisce un tubo; invece di raccontare quanto è buono quello che stiamo bevendo, fotografiamo la bottiglia prima ancora di stapparla, senza recensirla o quasi. Lo prendiamo troppo sul serio e infatti chi twitta è molto spesso qualcuno del settore o gli amanti del vino incalliti; ai tanti intimoriti spesso si contrappongono i pochi “so tutto io” che, forti anche di un solo corso da sommelier, sentenziano sulle bacheche altrui e magari dispensando pareri solo sulle grandi etichette, senza approfondire il discorso sulle altre migliaia che il nostro paese offre.

E ancora:

Il problema non è da poco, perché gli americani e gli altri europei che chiacchierano di vino con disinvoltura e curiosità presentano risultati dell’e-commerce ben diversi dai nostri: in Italia il volume delle vendite online è pari a ventiquattro milioni di euro, lo 0,7% del mercato, in Germania sono al 5%, in Usa e Gran Bretagna al 10%. E il loro chiacchiericcio sui social, anche su quelli dedicati come Vivino (diciotto milioni di iscritti nel mondo) produce analisi di mercato molto preziose per tutta la filiera produttiva del vino.

Questo è tutto, per ora. Un post dove ho cercato di raccontare alcune delle cose emerse durante i due giorni della Social Media Week sotto forma di appunti sparsi, con la consapevolezza di aver tralasciato molto e dimenticato altrettanto. Anzi, mai come in questo caso ogni vostro commento sarebbe gradito: questa è in fondo una conversazione che non si esaurirà mai.

[immagini: Zonin 1821, Social Media Week Milan]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

3 Commenti

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Vinocondiviso

circa 8 anni fa - Link

Molto utile, grazie Jacopo!

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Vinocondiviso

circa 8 anni fa - Link

Quando potrai...sarebbe utile approfondire l'argomento "influencer".

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sergio

circa 8 anni fa - Link

E' la prima volta che leggo il tuo blog, due articoli soltanto: C’è bisogno di un altro blog sul vino? e Neologismi: vini pezzent vs. bevitori di etichette. Mi sono piaciuti. Se dovessi leggere una tua recensione di un vino che non conosco potrei, forse, essere "influenzato" dalle tue opinioni. Ma, forse, nel post, più precisamente, si fa riferimento all'influencer marketing su cui ci sono informazioni nel web. Se c'è un influencer ci sono gli "influenzabili": in fondo non c'è niente di nuovo. Essere liberi e indipendenti è sempre più difficile, con l'avvento del web, perché gli uomini tendono al conformismo. Parafrasando il nome del tuo blog, significa condividere senza che ci sia stata l'influenza manipolativa...dell'influencer. O farsi convincere senza farsi manipolare.

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