Si dice che il terroir va cercato nei vini piccoli, appunto, di territorio. Entriamo allora a Parghelia, Vibo Valentia, nell’enoteca del paese: tre fusti d’acciaio con Nero d’Avola di Sicilia, Montepulciano d’Abruzzo e Grillo, sempre siciliano. E in disparte il calabrese. La signora dice che viene “da qui sopra” e non specifica le uve.

Okay, ridefiniamo tutto e azzeriamo i nostri modus operandi. Niente snobismi, e pensiamo solo a quello che c’è nel bicchiere. Anche se il vino te lo versano in una bottiglia di plastica dell’acqua minerale.

Rosso rubino, non giovanissimo a dir la verità, ma un po’ di concentrazione ce la vediamo subito. Naso senza difetti, semplice e diretto con una nota speziata che sorprende. Marasca e confettura di arance rosse, leggero cuoio, un po’ di mirto e accenno di lavanda. Niente male. In bocca cede un poco ma tiene botta. Tannino presente ma leggero, si può tenere tranquillamente in frigo come d’uso locale. Alcol avvertibile, il corpo non è imponente.

Chiude un po’ asprigno ma l’agrume ritorna al gusto insieme alla spezia e non dispiace affatto.

Ci verrebbe da definirlo un piccolo Magno Megonio, una specie di folletto del luogo (genius loci pare eccessivo). Che vitigni ci saranno? Proviamo a dire che è fatto da Magliocco (che da queste parti è più diffuso del Gaglioppo) e – arrischiamo – nel vigneto potrebbe esserci anche del Nerello. Riassaggiandolo, troviamo che non è tanto lontano dall’Arghillà di Criserà, poco più giù sullo stretto; e quindi toccherebbe pure indagare sul vitigno Petroneri.

Ma appunto, le discussioni sui vitigni lasciamole ai sommelier, ripensiamo al territorio, e qui ce n’è davvero tanto [81] . Epperò ce ne fossero così di vini, a 2 euro al litro.