Sassaia: il vino è nudo

di Mauro Mattei

e_sassaia[1]Premessa: in questa affermazione non c’è nulla di pornografico. Adoro Angiolino Maule e ritengo che lo stile dei suoi vini sia inappuntabile e solido. Così definito da rappresentare un modello da seguire. Talmente leggibile da apparire criptico. I suoi prodotti hanno un’ impronta precisa, concreta, diretta. Tant’è che, chi si avvicina a questi senza la giusta malizia, rimane disorientato, confuso da troppa evidenza. Un’ evidenza asciutta, incisa a colpi di territorio, connotata da prese di posizione forti e mai scontate. Il risultato di questo atteggiamento estetico è sotto gli occhi di tutti, riversato in maniera cruda, nervosa e sottile, nel bicchiere. Maule gioca con i suoi vini (che hanno a volte una timbrica inconsueta) serrandoli con forza attorno ad un concetto di terroir che è impossibile non percepire all’ istante.

Il fatto: avevo incrociato più volte le creazioni di Angiolino, prediligendo i  millesimi meno recenti. Ed è sempre stata una sorpresa. Però, l’ultimo contatto con questo “autore” del vino italiano, è stato una rivelazione e mi ha spinto a ragionamenti imprevisti. Ho voluto, infatti, stappare un’ annata ancora fresca di Sassaia – un blend di Garganega e Trebbiano senza aggiunta di solfiti –  e la scelta è caduta su un 2006. Cosa ne ho ricavato? Un pugno dritto sui denti. Ossia la sensazione netta e spiazzante di confrontarmi con un vino spogliato di tutto. Un vino nudo.

Argomentazione: Ci troviamo sempre più spesso a parlare di essenzialità, la maggior parte delle volte a sproposito, più per vezzo che per altro, infilandoci nel cul de sac del luogo comune. Sassaia è avulso da questa condizione: non sa cos’è il conformismo. Senza manierismi o mode è un omaggio alla schiettezza, ai contorni netti, alle cose definite ed inequivocabili. E’ un vino, ma si comporta da bevanda. La sua carica espressiva è archetipale, lascia a bocca aperta. Lo versi nel bicchiere e capisci subito qual è il senso. La macerazione con le bucce ne connota l’ aspetto visivo e gustativo. Una leggera astringenza va ad integrarsi all’acidità (già marcata), sgomberando il palato da un attacco inizialmente morbido. Il naso è restio, quasi monosillabico e non c’è alcuna piacioneria o voglia di mettersi in mostra. Un vino che si muove sostanzialmente in una sfera di sensazioni tattili. Con l’ossigenazione c’è un moto d’orgoglio, una tenue reazione, che si concretizza in un semplice ispessimento di ciò che c’era già. Io non gli ho creduto, ho pensato ad una casualità e cercando informazioni ho trovato una conferma.

Nel suo stesso sito aziendale, Maule, definisce Sassaia apparentemente inespressivo . Un vino dunque silenzioso per scelta, dove il minimo è il manifesto programmatico, ma non un limite. Qui infatti c’è la piacevolezza antica del bere per ristoro. Sassaia è un tonico irrinunciabile per chi avesse il desiderio di perdersi in un modo di vedere le cose.  Ovvero nell’idea di un consumo inteso come gesto rurale, agricolo. Una bevanda dal colore spesso e dalle note sottili al naso, completata da una marcata tridimensionalità. La presenza moderata di alcool ci ricorda che struttura non è volume alcolico e che la magrezza può avere un suo spessore, una sua polpa. Sassaia è un vino scabroso, in questa fase. Indecente, perchè ci mette faccia a faccia – senza possibilità di replica –  con le nostre origini. E noi, dal basso della nostra modernità (placcata di sensazioni preconfezionate), ci ritroviamo ad annaspare in un inconsueto déjà-vu liquido.

Sassaia 2006 di Angiolino Maule, 20 euro al ristorante

Mauro Mattei

Sommelier multitasking (quasi ciociaro, piemontese d'adozione, siculo acquisito), si muove in rete con lo stesso tasso alcolico della vita reale.

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