Ricordare Luigi Veronelli con otto etichette indimenticabili
di Alessandro Morichetti“Il pensiero di Veronelli tra passato e futuro”. L’intero pomeriggio del 24 maggio, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo ha dedicato al ricordo di Luigi Veronelli, patriarca della critica enogastronomica in Italia, una degustazione sul filo dei ricordi, con riflessioni aggiunte da Carlin Petrini, Daniele Cernilli, Niki Stefi, Cesare Pillon e Nicola Perullo. E’ stato coinvolgente e spero che Gian Arturo Rota, curatore dal viso pulito dell’Archivio Veronelli E DELLA SUA CANTINA (!) riesca nell’impresa più necessaria: sistematizzare il pensiero di Veronelli e raccontarne l’attualità della lezione. Di mio, tradisco un fastidio: tra allievi veri e presunti tali, io il pensiero di Veronelli l’ho capito poco e male. Di certo, chi mette nel curriculum “allievo di Veronelli” mi fa generalmente paura. Tra i produttori, pochi parlano ancora di Terra e Libertà, autocertificazione, prezzo sorgente e Denominazioni Comunali. Corrado Dottori – La Distesa – lo fa (qui e soprattutto qui, da leggere!). Perché non basta andare a una fiera per dirsi veronelliani, vero? Fatti, non pugnette.
Gastronomo e filosofo (ma non riconosciuto come tale), gaudente, anarchico, amante della contadinità, uomo di parte, polemista, iperbolico, ispiratore, antesignano del “buono” e “giusto”: il “pulito” lo avrebbe aggiunto qualche decennio dopo Slow Food. Il viaggio tra ricordi d’altri tempi ha affascinato un’Aula Magna gremita di studenti curiosi e probabili disoccupati dell’enogastronomia che verrà.
Dopo il dovere, il piacere. Quello di Veronelli col vino è stato un amore che scocca il giorno della prima comunione, quando insieme al fratello gemello viene ritualmente iniziato da suo papà. Il seguito è storia. Una cantina che a cavallo dei ’70-’80 è arrivata a contenere 80.000 bottiglie conservate perfettamente, sottoterra, in uno spazio naturalmente aerato. Oggi le bottiglie sono dimezzate, il patrimonio è inestimabile e 60 fortunati hanno assaggiato 8 esemplari di Langa – 4 Barbaresco e 4 Barolo – emozionanti. Delle 64 bottiglie stappate, solo 4-5 hanno presentato problemi e trattandosi di annate anche molto vecchie il numero è ampiamente accettabile. Prevedibile la variabilità tra bottiglia e bottiglia (alcune delle descrizioni dal palco non conincidevano col liquido nel mio bicchiere) ma la descrizione emozionale di Carlin Petrini intrecciata a quella più tecnica di Gariglio-Cernilli ha appassionato la platea. 8 ricordi (miei e non), minuto per minuto.
Barbaresco 1967, Gaja. Aranciato, naso perfettamente integro, anguria, cuoio, liquirizia e polvere di cacao impercettibile. Terziarizzazione interessante e tenue, acidità lambic style che fa capolino. Bocca molto sciolta, sull’acidità, manca un pelo di polpa ad allungare il sorso ma la beva è contagiosa, non aggredisce e lascia buoni rimandi, tannino impercettibile, idea generale di freschezza che domina la scena. Più ruspante dei Gaja attuali, vecchio stile, agile. 91
Barbaresco Casotto 1970 Riserva, Produttori del Barbaresco. Granato più scuro ma son sfumature. Apre di mentuccia, finocchietto, fiore passito, carne cruda, delicato. Bocca all’attacco leggera prima di prendere il palato magnificamente. Finisce con un rilascio graduale di acidità che completa il sorso. Rimandi finali di tabacco. La sensazione è che cresca nel bicchiere, coniugando complessità, piacevolezza generale del sorso e integrità. 93
Barbaresco Santo Stefano 1971 Riserva, Castello di Neive. Evidentemente non fortunato come il campione capitato ai relatori. Granato molto trasparente, terroso, vira su toni animali fino a stamparsi su arancio e liquerizia che ne bloccano il ventaglio odoroso. Bocca buona, pecca un po’ di ritmo ma il sorso è avvolgente e pieno. Rimandi gradevoli. 87
Barbaresco Santo Stefano 1978, Bruno Giacosa. Dall’annata che non matura mai, un vino scuro, quasi marrone, che si stacca dai precedenti. Restio al naso, ancora sul frutto con cenni di erbe aromatiche, molto varietale e riconducibile, guadagna in dettaglio a contatto con l’ossigeno. In bocca è potente, intenso e polposo, un po’ stretto sul finale ma godibile, materico, nobile, riservato. 91
Barolo s.a. (1964), Giacomo Conterno. Delle 8, alcune bottiglie erano problematiche e anche quelle servite hanno stimolato pareri molto discordanti. Entusiasti Gariglio e Cernilli, meno alcuni in sala. Annata incerta, forse 1964 a sentire gli aspiranti CSI che hanno provveduto alla stappatura. Grande annata, di qualità e quantità, peccato per noi. Il più trasparente, veloce al naso, china, liquirizia, hamburger. Bocca sottile, sveltina, di acidità, non materico, il meno invitante, stile classico, tannino appena accennato. Ri-mannaggia. s.v.
Barolo 1970 Monprivato, Mascarello Giuseppe e figlio. Mostruoso. Davvero impenetrabile, quasi quasi ancora rubizzo ma scuro. Veronelli avrebbe detto che ha il fiato del Barolo, Mauro Mascarello in sala ha parlato come un fiume in piena di vino e famiglia ma ho seguito solo a tratti pensando “Devo andare subito a trovarlo ma ci vorrà tutta una giornata”: dinamiche parentali tormentate, vinificazione per cru abbandonando gli assemblaggi, liti padre-figlio, divisioni: il vino profuma di cola, erba sfalciata, alghe, amaretto. Serrato e profondo, in bocca è uno spettacolo, i tannini sono perfetti, levigati, e il sorso smaliziato, risolto, è pervasivo, ammaliante. Dal palco qualcuno annota “rustico” e dalla quinta fila io commento “soreta!” tra me e me. Va meglio con gli aiuti dal pubblico: via Facebook, Antonio Galloni salta sulla sedia: “una delle più grandi…prima annata solo con Michet, perciò il primo ‘Ca d’Morissio’. Quel vino parla da solo, e a 42 anni è ancora giovanissimo!”. Americanamente parlando fanno 98 centesimi abbastanza monumentali e unanimi.
Barolo Brunate 1974 Riserva Selezionata, Rinaldi Giuseppe. Nella nostra bottiglia, naso purtroppo difficile. Si inchioda su una nota di ketchup che lo marca stretto e mi rompe le scatole perché gli altri lo hanno elogiato da bestia. Liquirizia, china, balsamico, timo e rosmarino tipici delle Brunate, Cernilli ne parla come di un Jayer di Langa. Io Jayer non l’ho mai bevuto, mortacci vostri. Ottimo in bocca, fresco e potente, austero. Qui ancora vinificato in purezza, sarà l Citrico ad assemblarlo con un 20% di Le Coste. Aperta prentesi: un ettaro di Brunate nel 1976 costava 5 mln di lire, oggi vale 1,2 mln di euro. Chiusa parentesi. Il vino di Battista Rinaldi suggerisce a Carlin Petrini il ricordo affettuoso di un uomo di Langa come pochi, sindaco di Barolo dal 1970 al 1975, primo presidente dell’Enoteca Regionale del Barolo e acceso sostenitore della necessità che il Castello di Barolo diventasse proprietà comunale. Così fu. A quel tempo, la nipote Marta che oggi guida la cantina con sicurezza non era lontanamente nei programmi.
Barolo Bricco Bussia Vigna Cicala 1978, Aldo Conterno. Bel colore che vira al granato. Carne cruda, pelle, un po’ animale poi frutto caldo e refoli balsamici. Più caldo degli altri, quasi surmaturo e amaroneggiante, ha una bocca di polpa dolce, ciccia. Vino di grande struttura ma forse in debito di equilibrio, il sorso è più pesante degli altri. Nel lotto, è quello che invita meno ma sempre un signor vino. 86
Degustazione preziosa. Diverse interpretazioni del “fiato di Langa” hanno consegnato una batteria di vini integri, espressivi, riconoscibili, profondi e longevi. Il tannino da nebbiolo maturo necessita di anni per risolversi ed esprimere il suo potenziale luminoso (Giancarlo Gariglio su Slowine ha raccontato così la degustazione). L’appunto numerico è una semplice scorciatoia per i poco pazienti.
Poco male: ben prima di Robert Parker, Veronelli dava stelline ai vini più buoni. Memorabile il corollario al suo celebre motto “Il peggior vino del contadino è migliore del miglior vino industriale”. Assaggiando un vino, evidentemente imperfetto, il Gino disse: “Lo so che è difettoso, ma non ti accorgi che se lo sapesse fare sarebbe un grandissimo vino?”. Una delle tante lezioni che varrebbe la pena di riscoprire e divulgare, rileggere, conoscere. Lunga vita a Luigi Veronelli.
[Foto delle bottiglie in fila: Marcello Marengo]
14 Commenti
Costanzo D'Angelo
circa 12 anni fa - LinkEmozioni vive. Bella l'università a Pollenzo, mi ritorna però giusto in mente... e la Banca del Vino? [edit] il giorno che Angelo commenterà intra senza infilarci un suo link, gli regalo una cassa di prosecco rosè. Giuro. [F.S.]
Rispondigian arturo rota
circa 12 anni fa - LinkIntanto, non solo una degustazione di 8 vini della cantina, ma anche un convegno su Gino Veronelli, e grazie, Alessandro, di definirmi "viso pulito" (sembrerebbe contrapporsi al tanto sporco - visi e non solo - cui siamo costretti ad assistere in questo mondo). Da quanto hai scritto, non direi tu abbia capito poco e male il suo pensiero (se non avessi spiegato la ragione dell'assegnazione dei punteggi per i vini assaggiati, io per primo ti avrei...). L'incontro di Pollenzo non voleva, nè poteva, certo illustrarlo e risolvere in via definitiva; obiettivo prioritario, mi pare raggiunto, aver (ri)proposto la fondamentale importanza della figura di Gino e avviato un percorso. Ciò che è per te speranza, è per me determinazione/ostinazione nel credere all'utilità del mio lavoro di risistemazione dell'archivio. Lavoro che sta anche per generare la pubblicazione del primo libro su Gino. Autori io e Nichi Stefi. Credo un fatto importante, per il nostro mondo, e forse non solo, se riusciremo a far capire che davvero lo si può considerare scrittore e filosofo, oltre che gastronomo.
RispondiAlessandro Morichetti
circa 12 anni fa - LinkAspetto la pubblicazione con grande piacere e curiosità! Che impostazione gli state dando?
Rispondigian arturo rota
circa 12 anni fa - Linksi tratta di pazientare ancora qualche mese, tra settembre e ottobre. E' una sorta di biografia; la maggiore difficoltà è stata decidere cosa scegliere, o cosa eliminare della sua lunga, poliedrica, complessa, multiforme esistenza, per riuscire a farne un ritratto esauriente, credibile e godibile.
RispondiCostanzo D'Angelo
circa 12 anni fa - LinkFiore non l'ho proprio capita. Bontà tua... stammi bene.
RispondiMontosoli
circa 12 anni fa - LinkGrazie..... Bisogna anche vedere a che temperatura queste bottiglie sono coricate.... Quando si scende sotto dei 13-14 gradi C. i vini ci mettono una vita a maturare... A gurdare le etichette sembra che la cantina soffre di elevata umidita' Ho bevuto vini comprati alla Banca del Vino e posso dire che dal colore sembrava che dimostrino 10 anni in meno......e le etichette erano mezze rovinate come la foto sopra.....tanta umidita'...
Rispondiesp
circa 12 anni fa - LinkA gurdare le etichette sembra che la cantina soffre di elevata umidita’ "Soffre"??? L' umidità è essenziale alla conservazione del tappo,e quindi del vino, e chissenefrega dell' etichetta?
RispondiLuca Miraglia
circa 12 anni fa - LinkIn ogni caso, anche nelle cantine più umide è possibile preservare le etichette tramite la pellicola trasparente (da applicare, con la dovuta attenzione, fino alla base del collo della bottiglia); et voilà!
Rispondiesp
circa 12 anni fa - LinkQuesta "tecnica" esisteva già 30/40 anni fa?
RispondiMontosoli
circa 12 anni fa - LinkEsp A questo mondo ci sono persone che bevono il liquido che sta nella bottiglia .....e ci sono persone che bevono l'etichetta...
Rispondiesp
circa 12 anni fa - LinkSì? Pensavo che l' etichetta la mangiassero fra due fette di pane con un pò di maionese.
RispondiSilvia Di Stefano
circa 12 anni fa - LinkNon avevo dubbi sulla presenza di Mascarello, che nonstante la mostruosità dei suoi vini, mostra sempre una delicata, logorroica modestia...emozionante!
RispondiJess Pierce
circa 12 anni fa - LinkI have posted my tasting notes on my blog if anyone would like to check it out in english. stirrupeurope.com
Rispondi