Negroamaro, una panoramica per affrontare al meglio l’estate
di Gianluca RossettiTornare a casa dopo mesi è una corsa contro gli specchi: la smania di ritrovarsi, di rintracciare qualcosa di familiare che si presume sia rimasta lì, di sale, ad attenderti. Riflessi appannati in cui non mi riconosco mai del tutto.
Ecco 9 etichette pescate a caso tra le bottiglie di una piccola enoteca di provincia. Manca molto. Troppo. Alcune cose che volevo nuovamente (e assolutamente) incontrare non le ho trovate: penso al Patriglione di Cosimo Taurino, al Piromáfo di Valle dell’Asso, all’Anne di Natalino Del Prete. Accontentatevi di queste: non dicono nulla del Negroamaro che non sia già stato detto ma sono 9 istantanee di un viaggio iniziato qualche tempo fa. All’incirca da queste parti.
Salvo diversa indicazione sono tutti vini ottenuti da sole uve di negroamaro.
Spano 2013, Michele Calò e Figli
Vaniglia, succo di mirtillo, confettura di rabarbaro, cenere e liquirizia. Taglia come una lama senza perdere un grammo di finezza e precisione. È fruttato, caldo, di struttura – certo – ma muove agilissimo, irrequieto. Ha l’argento vivo addosso. Ed è buono sul serio. Tra i migliori del gruppo.
Graticciaia 2012, Agricole Vallone
Vino bello e complicato come un intarsio di ebanisteria. Ricchissimo, potente. Tra datteri, tamarindo e prugne secche, alcol e morbidezze tutte, è capace comunque di non farsi imbrigliare dal carico e scorre via giocando le proprie carte con eleganza, sostenuto da una preziosa verve acida.
Rosa del Golfo 2017, Lina e Damiano Calò (negroamaro 90%, malvasia nera 10%)
Caramelle alla ciliegia, erbette aromatiche, cipria e salsedine. Infallibile con i prodotti della tavola salentina, un piccolo classico tra i rosati della Puglia meridionale (ma non solo) e tra le bevute più rinfrancanti e piacevoli che si possano fare con 38 gradi all’ombra.
Nero di Velluto 2013, Feudi di Guagnano
Boeri, chiodi di garofano, pepe nero, succo di melagrana, carrube. Avvolgente, glicerico; velluto di nome e di fatto. Ampio e persistente, scorre placido, senza fretta. Ha le sue cose da portarsi appresso. E molte altre da dire.
F 2014, Cantine San Marzano
Più scuro degli altri, tra note di foglie secche e ramaglie, confettura di more e pepe. Qui più che integrarsi le varie componenti sembrano vivere di contrasti e impuntature con una evidente propensione a giocare al rialzo, a chi ne ha di più: alcol, tannini, frutta stramatura. Una giostra. Curioso.
Le Braci 2011, Garofano
Altro vino da tenere in cantina e che consiglierei agli amici fidati perché si facciano un’idea su vitigno e potenzialità del medesimo. Vino di nerbo ed eleganza, con tannini che sanno integrarsi magnificamente a qualche anno dalla vendemmia e alcol molto ben bilanciato.
Duca d’Aragona 2013, Candido (negroamaro 80%, montepulciano 20%)
Bouquet davvero notevole di spezie dolci, caramello, gelatina di melecotogne e tabacco. Forse il naso più intrigante del lotto o quantomeno sul podio. Sorso in bilico con lieve prevalenza delle componenti morbide, alcol in primis, ma comunque connotato da buona dinamica e bella vivacità.
Jo 2013, Gianfranco Fino
Quando mi chiedo se preferisco Jo o Es (paragone peraltro improprio), mi devo fermare qualche istante per ragionarci su. Perché è davvero un Negroamaro buonissimo: ne ho già scritto in passato ma ogni volta che lo bevo mi vien voglia di scriverne di nuovo. Un fiume in piena, abbastanza avvezzo a superare di slancio i 16% alcol senza scomporsi.
Abatemasi 2013, Produttori di Manduria (negroamaro 90%, primitivo 10%)
Speziatura del legno che interviene ma non sovrasta, piccoli frutti a bacca viola stramaturi, alcol in evidenza. Un vino che inizialmente mi è perso contratto ma che poi si è disteso a contatto con l’aria rivelando buona dinamica e discreto equilibrio, per quanto con una certa maggior inclinazione per le morbidezze. Più buono il giorno dopo.
[immagine: Vespa]
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