Chiacchiere sul tempo (non nel senso del clima)

di Fiorenzo Sartore

Vecchie bottiglieA distanza di pochi post torno a parlare del tempo. Quello che trascorre, e condiziona l’affinamento e l’evoluzione del vino. L’influenza del tempo sulla bevanda odorosa è uno degli elementi di fascinazione più potenti, e pure meno prevedibili: può trascorrere inaspettatamente veloce con bottiglie che pensi destinate ad affrontare i decenni, e già questo è sorprendente. Oppure può rivelare doti di longevità totalmente inaspettate in vini nati per essere bevuti in gioventù. Nei giorni scorsi m’è capitato uno di quei fatti che succedono di tanto in tanto agli enofili con cantine un po’ sottosopra. Chissà che non sia capitato pure a voi.
Durante lavori di ristrutturazione ho trovato una ventina di bottiglie sommerse in una zona che non doveva (in teoria) ospitare vino, ma solo cataste di robe inservibili. Conservate in piedi, e dimenticate. Appena riviste ho avuto quella fitta di disappunto propria di ogni bottegaio genovese che si rispetti: oh diamine, e come ho fatto a dimenticarle qui? Questa ormai è roba imbevibile.

Si tratta, specifico, di un Verduzzo Friulano, surmaturato in pianta (dolce naturale, quindi, nemmeno passito) che vendevo a bottega sulle ottomila lire, la bottiglia da 75. Uso il conio vetusto, perché quelle bottiglie sono tutte vendemmia 1995. La prima tentazione è stata di affidarle al cassonetto differenziato. E poi ovviamente ne ho aperto un paio, per curiosità. Ed ecco la sorpresa: questo vino non è al capolinea. Ne ho dovuto aprire almeno due-tre bottiglie, proprio per verificare meglio. Il fatto è che quel vino, nel bicchiere, non vuole mostrare la corda. Com’è? Eccolo qua.

verduzzo
Il colore ha un tono ambra carico, ma mostra una discreta luminosità brillante – mentre la brillantezza che vira sull’opaco è un possibile segno di declino. Il naso all’inizio fa disperare, perché marca note ossidative alla maniera di certi vinsanto naturali di Toscana. Va aspettato un bel po’, affinché si scrolli di dosso la pungenza ossidativa, e consenta l’uscita di miele amaro, datteri, fichi secchi. A questo punto la sorpresa è tanto maggiore, se consideriamo che questo vino era nato per essere bevuto subito. Che ci fa ancora in piedi, dopo quasi 15 anni? In bocca ha una dolcezza molto bella, che sovrasta l’acidità ormai molto limata. Tuttavia è convincente, invita alla beva, traccia un segnale dolceamaro di liquirizia. Nello slang impietoso degli assaggiatori c’è un termine crudele destinato ai vini arrivati a fine corsa: da lavandinare. Ecco, questo vino NON è destinato a defluire nel lavandino. Ma forse l’elemento di maggiore fascinazione, per me, resta questo carattere indomito e pure un po’ ribelle della bevanda odorosa, che non si lascia irreggimentare nella prevedibilità, e segue logiche tutte sue, che volentieri ci sfuggono. 78/100.

[L’etichetta recita: Verduzzo Friulano, Vino da Tavola del Friuli Venezia Giulia. 1995. Azienda Agricola Rigonat, Ruda – Udine]

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

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