Nell’affannosa ricerca delle tag giuste, a volte capita di imbatterti nella bottiglia perfetta per il web. Anche se la prendiamo da lontano, partiamo come spesso ci capita dalla Champagne, da una delle cuvée de prestige più ingiustamente sottovalutate, una di quelle che nessuno ti rammenta mai alla richiesta qual è il tuo più grande assaggio salvo poi ricredersi: Grand Dame 1990 non è un bicchiere come gli altri. Sboccatura 2002, 12 anni sui lieviti, una plenitude straordinaria per un’annata già di per sé storica e per certi versi irripetibile. Assemblaggio 61% Pinot Noir, 39% Chardonnay da vigneti di proprietà, compreso il fenomenale Grand Cru Verzy dove ha sede il Manoir de Verzy, altro possedimento aziendale.

L’assaggio bordo vasca, in una serata tiepida di mezza estate all’ora del tramonto rivela subito nel balloon un aggraziato oro zecchino, dotato quasi di un languido pallore, mentre al naso sei investito da un floreale larghissimo, giallo, e note di canditi, camomilla e pesca, rafano, zafferano; poi vira sul rosso di fragola e ribes, spicca il gesso, infine la torrefazione, caffè e nocciole; il tutto animato da un refolo di menta.

Naso goloso e splendido, ma è soprattutto in bocca che viene fuori alla grande in un crescendo imperioso: cougar più che gran dama, ma con freschezza incredibile, di nuovo menta e timo, agrumi e cedro candito. Finale ricchissimo, di un equilibrio impressionante per una 22enne. Completato e reso godurioso da 9 grammi per litro di dosaggio zuccherino, come un filo di trucco leggero su zigomi ben marcati. Pochi grammi che fanno il capolavoro alla faccia di tutti quelli che iobevosolopasdosè.

Ecco: teen, giovanissima. Ma non si era detto di una cougar? 98 punti di piacevolezza rara, e magari tra 5 anni potrebbe essere persino meglio. Ci sediamo qui ad aspettare, allora.