Fondatore: Antonio Tomacelli
Senior Editor: Alessandro Morichetti, Jacopo Cossater
Editor: Andrea Gori, Leonardo Romanelli, Thomas Pennazzi, Gianluca Rossetti, Graziano Nani, Giorgio Michieletto, Stefano Senini, Alberto Muscolino, Tommaso Ciuffoletti, Lisa Foletti, Alessandra Corda, Nicola Cereda, Simone di Vito, Massimiliano Ferrari, Denis Mazzucato, Vincenzo Le Voci, Leone Zot, Clizia Zuin, Daniel Barbagallo, Jacopo Manni, Antonello Buttara, Francesca Ciancio, Marco Colabraro
Hanno scritto su Intravino: Fiorenzo Sartore, Angela Mion, Adriano Aiello, Mauro Mattei, Vincenzo Donatiello, Vittorio Manganelli, Terry Nesti, Salvatore Agusta, Sara Boriosi, Giovanni Corazzol, Sabrina Somigli, Pino Mondello, Pietro Stara, Emanuele Giannone, Samantha Vitaletti, Michele Antonio Fino, Maurizio Gily, Alessio Pietrobattista, Antonia Maria Papagno, Tommaso Farina, Francesco Annibali, Manuele Colonna, Marco Pion, Cristiana Lauro, Paolo Cianferoni, Lucia La Gatta, Lorenza Fumelli, Sara Porro, Giulia Graglia, Francesco Fabbretti, Federico Ferrero, Slawka G. Scarso, Federica Benazizi, Gianpaolo Paglia, Lorenzo Abussi
Il vino siciliano finisce nei ristoranti di Jamie Oliver. Per soli 24 euro a Tetra Pack
gennaio 30th, 2013 at 11:58Grazie Gianpaolo per questa chiarissima indicazione sulle componenti di prezzo.
Il problema è evidente: un vino reso sdoganato e trasportato in magazzino a Londra con un prezzo di partenza di £ 4.72 genera un margine per il commerciante di £ 13.08 -- ossia di oltre il 200%.
I produttori coltivano, trasformano, confezionano, vendono, fanno attività commerciali, i commercianti lo vendono e basta.
Abbiamo evidenziato la fregatura: viviamo in un sistema che sottrae reddito a chi produce e lo trasferisce a chi distribuisce.
Salteremo per aria.
Intravino regala il Bignami dei profumi di tutti i vini francesi. Pipì di gatto compresa
gennaio 29th, 2013 at 20:24Non credo, Rossano. Ci sono tutti i terziari riconducibili a fermentazioni o affinamenti in legno: vaniglia, cuoio, tabacco, mandorla tostata. Sono d’accordo con Alessandro, in questo caso.
L'etichetta del vino ideale per una donna? Quella che racconta una storia
gennaio 29th, 2013 at 19:59Io la adoro questa donna…
Vini veri e vini finti potrebbe essere una buona idea?
gennaio 18th, 2013 at 13:48Definire “molte” rispetto a “pochi” potrebbe essere un buon punto di partenza, altrimenti non se ne esce. E ogni opinione rischia di rimanere confinata nel bugigattolo dorato della propria autoreferenzialità.
Cercare di vivere senza l'editoriale di Eleonora Guerini sul Gambero Rosso. E riuscirci
gennaio 8th, 2013 at 13:59Nessuna offesa dalle parole di Eleonora, anzi… mi sembra che sia arrivato il momento di tentare di superare il manicheismo insito nel termine “naturale” quando è riferito al vino. Probabilmente tutti i produttori -- naturali e convenzionali -- lavoreremmo meglio.
Cercare di vivere senza l'editoriale di Eleonora Guerini sul Gambero Rosso. E riuscirci
gennaio 8th, 2013 at 10:49Probabilmente da qualche giorno ho voglia di essere messa alla berlina, perché – nonostante io abbia scelto di lavorare in vigna e in cantina in modo che dai più verrebbe definito “naturale” – proprio non riesco a farmi piacere questa parola. E questa parola non mi piace perché sottintende, per l’uso che se ne fa sempre più diffusamente, un giudizio morale, una posizione politica (politicizzata e politicizzabile), un atteggiamento manicheo (naturale = buono, convenzionale = cattivo).
Che paga, ci mancherebbe, e meno male che paga, perché produrre in modo “naturale” costa – sia in termini economici che di mero lavoro fisico – parecchio, molto di più di produrre in modo … artificiale? industriale? convenzionale? Fate voi.
Personalmente, non ci trovo nulla di sbagliato nel prendere una posizione politica, ma mi infastidisce il modo nel quale una mia scelta personale, basata sulle mie convinzioni e sui risultati qualitativi che ho scelto di perseguire, venga poi manipolata dal punto di vista commerciale ed intellettuale.
Quindi, il problema che mi pongo è: se lasciassimo perdere le valutazioni “morali” su vino naturale vs. vino convenzionale e cercassimo di raggiungere una definizione che parta da presupposti scientifici (misurabili e replicabili), in maniera da eliminare quella che Eleonora chiama “la populistica aurea del moralmente giusto”?
Giuseppe Benanti, il patriarca dell'Etna
ottobre 10th, 2012 at 13:55Vini unici in territori unici. Se questo vale per l’Etna, ancora di più vale per la Sicilia, pensando alla DOC regionale.
Stimo Giuseppe Benanti per il coraggio di dire queste cose, e di averle dette fin dal primo momento.
La competizione qui non è tra chi produce a mare o in montagna, ma tra chi coltiva uva e, di conseguenza, produce vino e chi invece la materia prima la acquista in giro per l’isola, la assembla e la imbottiglia.
Semplice.
Cantine Barbera | Marilena, vignaiola con il mare negli occhi
settembre 28th, 2012 at 11:41Grazie GP, ci incontreremo in giro un giorno di questi, ne sono sicura :)
Cantine Barbera | Marilena, vignaiola con il mare negli occhi
settembre 28th, 2012 at 11:39Andrea, concordo totalmente con te sulla bellezza di questa terra, che è bellissima ma anche molto difficile. Francesca ne ha colto alcuni aspetti essenziali nel suo articolo, sono felice di esserne stata, per un momento il tramite.
M.
Cantine Barbera | Marilena, vignaiola con il mare negli occhi
settembre 28th, 2012 at 11:37Grazie infinite Fabrizio :) Certo che puoi chiamarmi Marilena, e magari anche eliminare i formalismi…
In bocca al lupo per tuo figlio e per i suoi studi: la passione per il vino o ce l’hai o non ce l’hai, una buona formazione di base aiuta moltissimo, poi (a parer mio) sono sensibilità e dedizione che ti supportano in questo lavoro, che per me (come tanti altri vignaioli, uomini e donne) è molto più che un lavoro, ma una scelta di vita.
M.
Coda della foce | La sottile linea rossa che divide il piacere dalla piacioneria
gennaio 27th, 2012 at 01:22@gp: ti ringrazio molto per il tuo commento, e sono sorpresa che ricordi il Coda della Foce 2003: era la prima annata, e ne erano state prodotte pochissime bottiglie! La mia impressione è che il descrittore di cui parla Antonio (la polvere di cacao) si sviluppi principalmente con l’affinamento in botte – 15/18 mesi, slavonia, 25 e 30 ettolitri – anche perché si percepisce in maniera chiara nel vino solo dopo alcuni anni dalla vendemmia.
Per quanto riguarda gli altri commenti che sono stati postati, di solito trovo poco interessante discutere di slogan o pre-giudizi, preferendo confrontarmi sull’esperienza diretta. E dal momento che non voglio convincere i nostri amabili censori ad “assaggiare” qualcosa che li fa inorridire già solo per sentito dire, mi trovo, purtroppo, sprovvista di argomenti.
Anche perché, dopo che Tomacelli ha definito Coda della Foce addirittura un blend-di-dio, la mia giornata è già perfetta così.
Coda della foce | La sottile linea rossa che divide il piacere dalla piacioneria
gennaio 26th, 2012 at 13:21E pensa che la fronte l’aggrotteranno ancora di più quando preciserò (come sto per fare) che quel 10% di cabernet di cui scrivi è, invece, 20% di merlot. Il piccolo errore è scusabilissimo Antonio, se consideri che -- è vero -- di merlot il Coda della Foce non sa affatto.
Sarà per i lieviti autoctoni, sarà per il mare, sarà che il merlot a Menfi viene bene, se non lo lasci comandare.
Prima o poi ti manderò Azimut, così mi spiego meglio…
Un abbraccio, e grazie.
M.